Pulsioni

PULSIONE.

= D. : Trieb. — En. : instinct o drive. — Es. : instinto. — Fr. : pulsion. — P. : impulso o pulsâo.

• Processo dinamico consistente in una spinta (carica energetica, fattore di motricità) che fa tendere l'organismo verso una meta. Secondo Freud, una pulsione ha la sua fonte in una eccitazione somatica (stato di tensione) ; la sua meta è di sopprimere lo stato di tensione che regna nella fonte pulsionale; la pulsione può raggiungere la sua meta nell'oggetto o grazie a esso.

■ I. Dal punto di vista terminologico, il termine «pulsione» è stato introdotto nelle traduzioni italiane di Freud come equivalente del tedesco Trieb per evitare le implicazioni di termini d'uso più antico come «istinto» e «tendenza». Questa convenzione, che non è stata sempre rispettata, è tuttavia giustificata.

1) Nella lingua tedesca, esistono due termini Instinkt e Trieb.

Il termine Trieb, di radice germanica, è d'uso molto antico e conserva sempre la sfumatura di spinta (treiben = spingere). L'accento è messo non tanto su una finalità precisa quanto su un orientamento generale e sottolinea il carattere irreprimibile della spinta anziché la fissità della meta e dell'oggetto.

Alcuni autori sembrano usare indifferentemente i termini Instinkt e Trieb (a); altri sembrano operare una distinzione implicita, riservando Instinkt per designare, in zoologia per esempio, un comportamento fisssato ereditariamente e presente in forma quasi identica in tutti gli individui di una stessa specie.

2) In Freud, si trovano i due termini con accezioni nettamente distinte. Quando parla di Instinkt, Freud si riferisce a un comportamento animale fissato dall'eredità, caratteristico della specie, preformato nel suo svolgimento e adattato al suo oggetto (vedi: Istinto).

In italiano il termine «istinto» ha le stesse implicazioni di Instinkt in Freud e dovrebbe quindi essere riservato per tradurre quest'ultimo; se esso è utilizzato per tradurre Trieb, si viene a falsare l'uso del concetto in, Freud.

Il termine pulsione, sebbene non faccia parte della lingua come Trieb in tedesco, ha tuttavia il merito di mettere in evidenza il senso di spinta.

Notiamo che la Standard Edition inglese ha preferito tradurre Trieb con instinct, scartando altre possibilità quali drive e urge. Tale questione è discussa nella Introduzione generale del primo volume della Standard Edition.

II. Sebbene il termine Trieb compaia nei testi freudiani solo nel 1905, esso trova la sua origine come nozione energetica nella distinzione operata da Freud molto presto tra due tipi di eccitazione (Reiz) ai quali l'organismo è sottoposto e che esso deve scaricare conformemente al principio di costanza. Accanto alle eccitazioni esterne che il soggetto può fuggire o da cui può proteggersi, esistono fonti interne che apportano costantemente un afflusso di eccitazioni al quale l'organismo non può sfuggire e che costituisce la molla del funzionamento dell'apparato psichico.

I Tre saggi sulla teoria della sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, 1905) introducono il termine Trieb, nonché le distinzioni, che da allora in poi non cesseranno di essere utilizzate da Freud, tra fonte, oggetto, meta.

La nozione freudiana della pulsione sorge nella descrizione della sessualità umana. Freud, basandosi soprattutto sullo studio delle perversioni e delle modalità della sessualità infantile, demolisce la concezione detta «popolare» che attribuisce alla pulsione sessuale una meta e un oggetto specifici e la localizza nelle eccitazione e nel funzionamento dell'apparato genitale. Egli mostra anzi come l'oggetto sia variabile, contingente, e venga scelto nella sua forma definitiva solo in funzione delle vicissitudini della storia del soggetto. Egli rileva inoltre come le mete siano molteplici, parcellari, e strettamente dipendenti da fonti somatiche; anche queste sono molteplici e capaci di assumere e di conservare per il soggetto una funzione prevalente (zona erogena), in quanto le pulsioni parziali si subordinano alla zona genitale e si integrano nel compimento del coito solo al termine di un'evoluzione complessa, che la maturazione biologica non basta a garantire.

L'ultimo elemento che Freud introduce a proposito della nozione di pulsione è quello di spinta concepita come un fattore quantitativo economico, una «esigenza di lavoro imposta all'apparato psichico». Freud raggruppa questi quattro elementi — spinta, fonte, oggetto, meta — e dà una definizione generale della pulsione in Pulsioni e loro destino (Triebe und Triebschicksale, 1915).

III. Come collocare questa forza che attacca l'organismo dall'interno e lo spinge a compiere talune azioni capaci di provocare una scarica di eccitazione? Si tratta di una forza somatica o di una energia psichica? La questione, posta da Freud, riceve risposte diverse in quanto la pulsione è definita come «un concetto-limite tra lo psichismo e il somatico». Essa è legata per Freud al concetto di «rappresentante», con cui egli intende una specie di delegazione inviata dal somatico nello psichismo. Questo problema sarà esaminato più esaurientemente nel nostro commento alla voce: Rappresentante psichico.

IV. - Come abbiamo notato, la nozione di pulsione è analizzata in base al modello della sessualità, ma nella teoria freudiana alla pulsione sessuale sono subito opposte altre pulsioni. È noto che la teoria delle pulsioni in Freud rimane sempre dualista; il primo dualismo proposto è quello tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io o di autoconservazione; queste ultime pulsioni corrispondono per Freud ai grandi bisogni o alle grandi funzioni indispensabili alla conservazione dell'individuo, di cui il modello è costituito dalla fame e dalla funzione di alimentazione.

Questo dualismo è presente, secondo Freud, già alle origini della sessualità in quanto la pulsione sessuale si distacca dalle funzioni di autoconservazione su cui prima si appoggiava; egli cerca di spiegare il conflitto psichico mostrando che l'Io trova nella pulsione di autoconservazione l'essenziale dell'energia necessaria alla difesa contro la sessualità.

Il dualismo pulsionale introdotto in Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920) contrappone le pulsioni di vita alle pulsioni di morte e modifica la funzione e la collocazione delle pulsioni nel conflitto.

1) Il conflitto topico (tra l'istanza difensiva e l'istanza rimossa) non corrisponde più al conflitto pulsionale, in quanto l'Es è concepito come serbatoio pulsionale includente i due tipi di pulsioni. L'energia utilizzata dall'Io è presa da questo fondo comune, specie sotto forma di energia «desessualizzata e sublimata».

2) I due grandi tipi di pulsioni, in quest'ultima teoria, sono postulati non tanto come motivazioni concrete del funzionamento stesso dell'organismo quanto come principi fondamentali che regolano in ultima analisi l'attività di esso: «Noi diamo il nome di pulsioni alle forze che postuliamo dietro le tensioni generatrici di bisogni dell'Es». Questo cambiamento di accento è particolarmente sensibile nel famoso testo: «La teoria delle pulsioni è per così dire la nostra mitologia. Le pulsioni sono esseri mitici, grandiosi nella loro indeterminazione».

***

La nozione freudiana della pulsione — come si vede da questa esposizione sommaria — porta a una disintegrazione del concetto classico di istinto, e ciò in due direzioni opposte. Da un lato, il concetto di «pulsione parziale» sottolinea l'idea che la pulsione sessuale esiste anzitutto allo stato «polimorfo» e tende principalmente alla soppressione della tensione al livello della fonte somatica, e che essa si lega nella storia dell'individuo a rappresentanti che specificano l'oggetto e il modo di soddisfacimento: la spinta interna dapprima indeterminata subirà un destino che la marcherà con tratti altamente individualizzati. Ma d'altro lato Freud, lungi dal postulare, come sono inclini a fare i teorici dell'istinto, dietro ogni tipo di attività una forza biologica corrispondente, fa rientrare l'insieme delle manifestazioni pulsionali in una sola grande opposizione fondamentale, che è ripresa dalla tradizione mitica: opposizione tra Fame e Amore, poi tra Amore e Discordia.

PULSIONI D'AUTOCONSERVAZIONE.

• Termine con cui Freud designa l'insieme dei bisogni legati alle funzioni somatiche necessarie alla conservazione della vita dell'individuo ; il loro prototipo è costituito dalla fame.

Le pulsioni di autoconservazione sono contrapposte da Freud, nell'ambito della sua prima teoria delle pulsioni, alle pulsioni sessuali.

■ Sebbene il termine di pulsione di autoconservazione compaia in Freud solo nel 1910, l'idea di opporre alle pulsioni sessuali un altro tipo di pulsione è antecedente. Essa infatti è implicita in ciò che Freud dice, già nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, 1905), dell'appoggio della sessualità su altre funzioni somatiche (vedi: Appoggio); per esempio, al livello orale, il piacere sessuale trova il suo supporto nell'attività nutritiva: «Il soddisfacimento della zona erogena era associato, all'inizio, al soddisfacimento del bisogno di nutrimento»; nello stesso contesto Freud parla inoltre di «pulsione di alimentazione».

Nel 1910 Freud enuncia l'opposizione che rimarrà centrale nella sua prima teoria delle pulsioni : «Di particolarissima importanza [...] è l'innegabile opposizione tra pulsioni che servono alla sessualità, all'ottenimento del piacere sessuale, e le altre che hanno come scopo l'autoconservazione dell'individuo, le pulsioni dell'Io: tutte le pulsioni organiche che sono in azione nel nostro psichismo possono essere classificate, secondo i termini del poeta, come "fame" o come "amore"». Questo dualismo comporta due aspetti, messi congiuntamente in evidenza da Freud in taluni testi di questo periodo: l'appoggio delle pulsioni sessuali sulle pulsioni di auto-conservazione e il ruolo determinante della loro opposizione nel conflitto psichico. Un esempio come quello dei disturbi isterici della visione illustra questo doppio aspetto: uno stesso organo, l'occhio, è il supporto di due tipi di attività pulsionale; esso sarà anche, se vi è conflitto tra essi, il luogo del sintomo.

Per quanto riguarda la questione dell'appoggio, rinviamo il lettore al nostro commento a questo termine. Quanto al modo in cui i due grandi tipi di pulsioni arrivano a opporsi nel conflitto difensivo, uno dei passi più espliciti figura nelle Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico (Formulierungen über die zwei Prinzipien des psychischen Geschehens, 1911). Le pulsioni dell'Io, potendo soddisfarsi solo con un oggetto reale, effettuano molto presto il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà, al punto che esse diventano gli agenti della realtà e si oppongono quindi alle pulsioni sessuali che possono soddisfarsi in modo fantasmatico e rimangono più a lungo sotto il dominio del solo principio di piacere : «Una parte essenziale della predisposizione psichica alla nevrosi proviene dal ritardo della pulsione sessuale a tener conto della realtà».

Tale concezione è condensata nell'idea talora enunciata da Freud, secondo cui il conflitto tra pulsioni sessuali e pulsioni di autoconservazione fornirebbe la chiave per la comprensione delle nevrosi di transfert.

***

Freud non ha mai cercato di esporre organicamente i diversi tipi di pulsioni di autoconservazione; quando ne parla, lo fa per lo più in modo collettivo o in base al modello privilegiato della fame. Tuttavia, egli sembra ammettere l'esistenza di numerose pulsioni di autoconservazione, altrettanto numerose quante sono le grandi funzioni organiche (nutrizione, defecazione, minzione, attività muscolare, visione, ecc.).

L'opposizione freudiana tra le pulsioni sessuali e le pulsioni di autoconservazione può indurre a interrogarsi sulla legittimità dell'uso del termine stesso di Trieb per designare le une e le altre. Va notato anzitutto che Freud, quando tratta della pulsione in generale, si riferisce più o meno esplicitamente alla pulsione sessuale, attribuendo per esempio alla pulsione tratti come la variabilità della meta e la contingenza dell'oggetto. Per le «pulsioni» di autoconservazione invece, le vie di accesso sono preformate e l'oggetto soddisfacente è immediatamente determinato; per riprendere una formula di Max Scheler la fame del lattante implica «una intuizione del valore cibo». Come mostra la concezione freudiana della scelta d'oggetto per appoggio, sono le pulsioni di autoconservazione che indicano alla sessualità la via dell'oggetto. È probabilmente questa differenza che induce Freud a usare a più riprese il termine di bisogno (Bedürfnis) per designare le pulsioni di autoconservazione. Da questo punto di vista, non si può non sottolineare ciò che vi è di artificiale nel voler stabilire, in una prospettiva genetica, uno stretto parallelismo tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali come se le une e le altre fossero sottoposte al solo principio di piacere prima di obbedire gradualmente al principio di realtà. Le prime infatti vanno piuttosto collocate immediatamente dalla parte del principio di realtà, mentre le seconde dalla parte del principio di piacere.

I successivi rimaneggiamenti apportati da Freud alla teoria delle pulsioni lo costringono a inquadrare differentemente le pulsioni di autoconservazione. Va notato anzitutto che in questi tentativi di riclassificazione, i concetti di pulsioni dell'Io e di pulsioni di autoconservazione, che precedentemente coincidevano, subiscono delle trasformazioni che non sono più esattamente le stesse. Per quanto riguarda le pulsioni dell'Io, cioè la natura dell'energia pulsionale che è al servizio dell'istanza dell'Io, rinviamo il lettore ai commenti alle voci: Pulsioni dell'Io, Libido dell'Io - Libido d'oggetto, Io. Per quanto riguarda le pulsioni di autoconservazione, si può dire schematicamente quanto segue:

1) Con l'introduzione del narcisismo (1915), le pulsioni di autoconservazione rimangono opposte alle pulsioni sessuali sebbene queste siano ora suddivise a seconda che mirino all'oggetto esterno (libido oggettuale) o all'Io (libido dell'Io).

2) Quando Freud tra il 1915 e il 1920, effettua un «apparente avvicinamento alle idee di Jung» ed è tentato di adottare l'idea di un monismo pulsionale, le pulsioni di autoconservazione tendono a essere considerate come un caso particolare dell'amore di sé o libido dell'Io.

3) Dopo il 1920, viene introdotto un nuovo dualismo, quello tra le pulsioni di morte e le pulsioni di vita. In un primo tempo, Freud esiterà quanto alla posizione delle pulsioni di autoconservazione, classificandole dapprima tra le pulsioni di morte giacché non sarebbero che deviazioni indicanti che «l'organismo non vuol morire che a modo suo», ma rettificando subito quest'idea per vedere nella conservazione dell'individuo un caso particolare delle pulsioni di vita.

In seguito, egli manterrà quest'ultima tesi : «L'antagonismo tra pulsione di autoconservazione e pulsione di conservazione della specie, come pure l'altro antagonismo tra amore dell'Io e amore d'oggetto, ricadono ancora all'interno dell'Eros».

PULSIONI DELL'IO.

• Nel quadro della prima teoria delle pulsioni (quale è formulata da Freud negli anni 1910-15), le pulsioni dell'Io designano un tipo specifico di pulsioni la cui energia è posta al servizio dell'Io nel conflitto difensivo; esse sono assimilate alle pulsioni di autoconservazione e opposte alle pulsioni sessuali.

■ Nella prima teoria freudiana delle pulsioni, che contrappone pulsioni sessuali e pulsioni di autoconservazione, queste ultime sono chiamate pulsioni dell'Io.

È noto che il conflitto psichico era stato descritto immediatamente da Freud come un antagonismo tra la sessualità e una istanza rimovente difensiva: l'Io. Ma non veniva attribuito all'Io un supporto pulsionale determinato.

D'altra parte, Freud contrapponeva già nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, 1905) le pulsioni sessuali e ciò che egli chiama «bisogni» (o «funzioni di importanza vitale»), mostrando come le prime sorgessero appoggiandosi sulle seconde e poi ne divergessero, in particolare nell'autoerotismo. Enunciando la sua «prima teoria delle pulsioni», Freud tenta di far coincidere queste due opposizioni: opposizione clinica, nel conflitto difensivo, tra l'Io e le pulsioni sessuali; opposizione genetica, nell'origine della sessualità umana, tra funzioni di autoconservazione e pulsione sessuale.

È soltanto nel 1910, in I disturbi visivi psicogeni nell'interpretazione psicanalitica (Die psychogene Sehstörung in psychoanalytischer Auffassung), che Freud raggruppa l'insieme di questi «grandi bisogni» non sessuali sotto il nome di «pulsioni di autoconservazione» e li indica inoltre, con il nome «pulsioni dell'Io», come i beneficiari del conflitto psichico, i cui due poli devono essere, in ultima analisi, definiti anche in termini di forze: «Di particolarissima importanza per il nostro tentativo di spiegazione è l'innegabile opposizione esistente tra le pulsioni che servono alla sessualità, all'ottenimento del piacere sessuale, e le altre che hanno come meta l'autoconservazione dell'individuo, le pulsioni dell'Io. Tutte le pulsioni organiche che operano nella nostra anima possono essere classificate, secondo i termini del poeta, come "fame" o come "amore"».

***

Che cosa significa la sinonimia proposta da Freud tra pulsioni di autoconservazione e pulsioni dell'Io? In che senso un gruppo determinato di pulsioni può essere considerato come inerente all'Io?

1) Al livello biologico, Freud si basa sull'opposizione tra le pulsioni tendenti alla conservazione dell'individuo (Selbsterhaltung) e quelle volte ai fini della specie (Arterhaltung) : «L'individuo conduce in realtà una doppia esistenza, come scopo in se stesso e come membro di una catena a cui è sottoposto contro la propria volontà e comunque senza di essa [...]. La distinzione tra le pulsioni sessuali e le pulsioni dell'Io non farebbe altro che riflettere questa duplice funzione dell'individuo». In questa prospettiva, l'espressione «pulsioni dell'Io» significa «pulsioni di conservazione di sé», e l'Io è l'istanza a cui è affidata la conservazione dell'individuo.

2) Nel quadro del funzionamento dell'apparato psichico, Freud mostra come le pulsioni di autoconservazione, a differenza delle pulsioni sessuali, sono particolarmente atte a funzionare secondo il principio di realtà. Inoltre, egli definisce un «Io-realtà» in base ai caratteri stessi delle pulsioni dell'Io: «...l'Io-realtà non ha altro da fare che tendere verso l'utile e garantirsi contro i danni».

3) Infine, va notato che, nell'introdurre la nozione di pulsioni dell'Io, Freud rileva che esse (in modo simmetrico alle pulsioni sessuali con cui sono in conflitto) sono collegate a un gruppo determinato di rappresentazioni, gruppo «per il quale utilizziamo il concetto collettivo di Io, che è composto in modo diverso secondo i casi».

Se ci si attiene al senso di quest'ultima indicazione, si è indotti a pensare che le pulsioni dell'Io investano l'«Io» preso come «gruppo di rappresentazioni» e che esse siano orientate verso l'Io. Come si vede, ci si trova qui di fronte ad una ambiguità nel senso della preposizione di (pulsioni dell'Io)-, le pulsioni dell'Io sono concepite da un lato, come tendenze emananti dall'organismo (o dall'Io in quanto istanza psichica incaricata di garantire la conservazione di esso) e orientata verso oggetti esterni relativamente specificati (cibo, per esempio). Ma, d'altro lato, esse sarebbero inerenti all'Io considerato come loro oggetto.

***

Freud, quando parla, tra il 1910 e il 1915, dell'opposizione pulsioni sessuali - pulsioni dell'Io, omette raramente di dichiarare che si tratta di una ipotesi alla quale è stato «...costretto dall'analisi delle pure nevrosi di transfert (isteria e nevrosi ossessiva)». Si potrebbe osservare a questo proposito che, nelle interpretazioni che Freud dà del conflitto, le pulsioni di autoconservazione non compaiono praticamente mai come forze che motivino la rimozione:

1) Negli studi clinici pubblicati prima del 1910, il posto dell'Io nel conflitto è spesso messo in rilievo, ma non è indicata la sua relazione con le funzioni necessarie alla conservazione dell'individuo biologico. In seguito tuttavia la pulsione di autoconservazione, dopo essere stata posta esplicitamente nella teoria come pulsione dell'Io, è raramente menzionata come energia rimovente: in Dalla storia di una nevrosi infantile (Aus der Geschichte einer infantilen Neurose, 1918), redatto nel 1914-15, la forza che provoca la rimozione è cercata nella «libido genitale narcisistica».

2) Nei lavori metapsicologici del 1914-15 (L'inconscio [Das Unbewusste], La rimozione [Die Verdrängung], Pulsioni e loro destino [Triebe und Triebschicksale]) la rimozione nei tipi principali di nevrosi di transfert è attribuita a un gioco puramente libidico di investimento, disinvestimento e controinvestimento delle rappresentazioni: «Possiamo qui sostituire "investimento" con "libido", giacché si tratta, come sappiamo, del destino delle pulsioni sessuali».

3) Nel testo che introduce il concetto di pulsione dell'Io, uno dei pochi testi in cui Freud tenti di farla operare come beneficiaria del conflitto, si ha l'impressione che la funzione di «autoconservazione» (in questo caso la visione) sia la posta in gioco e il terreno del conflitto difensivo anziché uno dei termini dinamici di esso.

4) Quando intende giustificare l'introduzione di questo dualismo pulsionale, Freud non lo considera un «postulato necessario», ma solo una «costruzione ausiliaria» che va molto al di là dei dati psicanalitici. Questi infatti impongono soltanto l'idea di un «conflitto tra le esigenze della sessualità e quelle dell'Io». Il dualismo pulsionale invece è fondato in ultima analisi su considerazioni «biologiche»: «...desidero qui ammettere esplicitamente che l'ipotesi di pulsione dell'Io e di pulsioni sessuali separate [...] poggia in minima parte su un fondamento psicologico e trova essenzialmente il suo sostegno nella biologia».

---------------------------------

L'introduzione del concetto di narcisismo non elimina immediatamente per Freud l'opposizione pulsioni sessuali - pulsioni dell'Io, ma vi introduce una distinzione supplementare : le pulsioni sessuali possono rivolgere la loro energia su un oggetto esterno (libido oggettuale) o sull'Io (libido dell'Io o libido narcisistica). L'energia delle pulsioni dell'Io non è libido, ma «interesse». Come si vede, il nuovo raggruppamento cerca di eliminare l'ambiguità rilevata più sopra a proposito del termine pulsioni dell'io. Le pulsioni dell'Io emanano dall'Io e si riferiscono a oggetti indipendenti (esempio: il cibo); ma l'Io può essere oggetto per la pulsione sessuale (libido dell'Io).

Tuttavia, l'opposizione libido dell'Io - libido sessuale svuoterà presto d'interesse, nel pensiero di Freud, l'opposizione pulsioni dell'Io - pulsioni sessuali.

L'autoconservazione infatti appare a Freud come suscettibile di essere ricondotta all'amore di sé, cioè alla libido dell'Io. Scrivendo a posteriori la storia della teoria delle pulsioni, Freud interpreta la svolta in cui introduce la nozione di libido narcisistica come un avvicinamento a una teoria monistica dell'energia pulsionale, «...come se il lento progresso della ricerca psicanalitica avesse camminato nel sentiero delle speculazioni di Jung sulla libido originaria, tanto più che alla trasformazione della libido oggettuale in narcisismo era legata inevitabilmente una certa desessualizzazione».

Va notato tuttavia che Freud scopre questa fase «monistica» del suo pensiero solo nel momento in cui ha già affermato un nuovo dualismo fondamentale, quello delle pulsioni di vita e pulsioni di morte.

***

Dopo l'introduzione di questo dualismo, il termine di pulsione dell'Io scomparirà gradualmente dalla terminologia freudiana, non senza che Freud abbia prima cercato in Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920) di inserire ciò che egli ha chiamato fino ad allora pulsioni dell'Io nella nuova concezione. Questo tentativo è orientato in due direzioni contraddittorie:

1) Nella misura in cui le pulsioni di vita sono identificate con le pulsioni sessuali, Freud cerca di far coincidere simmetricamente pulsioni dell'Io e pulsioni di morte. Quando spinge fino alle sue ultime conseguenze la tesi speculativa secondo cui la pulsione nella sua essenza tende a ripristinare lo stato inorganico,, egli vede nelle pulsioni di autoconservazione «...delle pulsioni parziali destinate a garantire all'organismo la sua propria via verso la morte». Esse si distinguono dalla tendenza immediata al ritorno all'inorganico solo in quanto «...l'organismo non vuol morire che a modo suo; i guardiani della vita sono stati essi stessi all'origine dei sostenitori della morte».

2) Nella stessa opera Freud è indotto tuttavia a rettificare le sue concezioni riprendendo la tesi secondo cui le pulsioni di autoconservazione sono di natura libidica.

Infine, nel quadro della sua seconda teoria dell'apparato psichico Freud non farà più coincidere un tipo qualitativo di pulsione con un'istanza (come aveva tentato di fare assimilando pulsione di autoconservazione e pulsione dell'Io). Sebbene le pulsioni abbiano la loro origine nell'Es, le si possono ritrovare tutte in azione in ciascuna delle istanze. Il problema di quale sia l'energia pulsionale che l'Io utilizza più specificamente rimarrà presente, ma senza che Freud parli allora di pulsione dell'Io.

LIBIDO.

■ Energia postulata da Freud come sostrato delle trasformazioni della pulsione sessuale riguardo all'oggetto (spostamento degli investimenti), alla meta (sublimazione, per esempio), alla fonte dell'eccitazione sessuale (diversità delle zone erogene).

In Jung, la nozione di libido si è ampliata sino a designare «l'energia psichica» in generale, presente in tutto ciò che è «tendenza verso», appetitus.

■ Il termine libido significa in latino desiderio. Freud dichiara di averlo mutuato da A. Moll (Untersuchungen über Libido Sexualis, vol. I, 1898). In realtà, lo si incontra a più riprese nelle lettere e negli abbozzi indirizzati a Fliess e per la prima volta nell'Abbozzo E (data probabile: giugno 1894).

È difficile dare una definizione soddisfacente della libido. Non solo la teoria della libido ha subito una evoluzione attraverso le diverse fasi della teoria della pulsione, ma il concetto stesso è lungi dall'aver ricevuto una definizione univoca. Tuttavia, Freud ha sempre mantenuto due sue caratteristiche:

1) Da un punto di vista qualitativo, la libido non è riducibile, come vorrebbe Jung, a una energia mentale non specificata. Se essa può essere «desessualizzata», specie negli investimenti narcisistici, ciò avviene solo secondariamente e in seguito a una rinuncia alla meta specificamente sessuale.

Inoltre, la libido non ricopre mai tutto il campo pulsionale. In una prima concezione, essa si oppone alle pulsioni di autoconservazione. Quando queste ultime, nell'ultima concezione di Freud, sono considerate di natura libidica, l'opposizione si sposta per diventare quella tra libido e pulsioni di morte. Il monismo junghiano non è quindi mai accettato e il carattere sessuale della libido è sempre mantenuto.

2) La libido appare sempre più come un concetto quantitativo: essa «...consente di misurare i processi e le trasformazioni nel campo dell'eccitazione sessuale». «La sua produzione, il suo aumento e la sua diminuzione, la sua ripartizione e il suo spostamento dovrebbero fornirci i mezzi per spiegare i fenomeni psicosessuali».

Queste due caratteristiche sono sottolineate nella seguente definizione di Freud : «Libido è un'espressione proveniente dalla teoria della affettività. Noi chiamiamo così l'energia, considerata come una grandezza quantitativa — per quanto non sia attualmente misurabile — delle pulsioni che hanno a che fare con tutto ciò che è compreso nella parola amore».

In quanto la pulsione sessuale si situa al limite somatico-psichico, la libido designa il suo aspetto psichico; essa è «la manifestazione dinamica nella vita psichica della pulsione sessuale». Nei suoi primi scritti sulla nevrosi d'angoscia (1896) Freud introduce il concetto di libido come energia nettamente distinta dal-l'eccitazione sessuale somatica: una insufficienza di «libido psichica» provoca il mantenimento della tensione sul piano somatico, in cui essa si traduce senza elaborazione psichica in sintomi. Se «...mancano parzialmente talune condizioni psichiche», l'eccitazione sessuale endogena non è dominata, la tensione non può venire utilizzata psichicamente, e si hanno la scissione tra somatico e psichico e lo sviluppo dell'angoscia.

Nella prima edizione dei Tre saggi sulla teoria della sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, 1905) la libido — che sta all'amore come l'istinto di nutrizione sta alla fame — rimane affine al desiderio sessuale in cerca di soddisfacimento e consente di riconoscerne le vicissitudini; ma in quell'opera si parla soltanto della libido oggettuale, che vediamo concentrarsi su oggetti, fissarsi in essi o abbandonarli, lasciare un oggetto per un altro.

In quanto la pulsione sessuale rappresenta una forza che esercita una «spinta», la libido è definita da Freud come l'energia di tale pulsione. È questo aspetto quantitativo che prevarrà in ciò che diverrà, a partire dalla concezione del narcisismo e della libido dell'Io, la «teoria della libido».

La nozione di «libido dell'Io» provoca infatti una generalizzazione dell'economia libidica che comprende tutto il gioco degli investimenti e controinvestimenti e attenua i significati soggettivi che il termine di libido poteva suggerire; secondo quanto dice Freud stesso, la teoria diventa così nettamente speculativa. Ci si può chiedere se introducendo in Al di là del principio ,di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920) la nozione di Eros come principio fondamentale delle pulsioni di vita, come tendenza deg\i organismi a mantenere la coesione della sostanza vivente e a creare, nuove unità, Freud non abbia cercato di ritrovare, sul piano di un mito biologico la dimensione soggettiva e qualitativa che era originariamente inerente alla nozione di libido.

LIBIDO DELL'IO - LIBIDO OGGETTUALE.

■ Termini introdotti da Freud per distinguere due modi di investimento della libido; essa può assumere come oggetto o la persona propria (libido dell'Io o narcisistica), o un oggetto esterno (libido oggettuale). Esiste, secondo Freud, un equilibrio energetico tra questi due modi di investimento, in quanto la libido oggettuale diminuisce quando aumenta la libido dell'Io e inversamente.

È stato soprattutto lo studio delle psicosi a indurre Freud ad ammettere che il soggetto può assumere la propria persona come oggetto d'amore. In termini energetici, ciò significa che la libido può essere investita sia nell'Io che in un oggetto esterno. Questa è l'origine della distinzione introdotta tra la libido dell'Io e la libido oggettuale. I problemi economici posti da questa distinzione sono affrontati nell'Introduzione del narcisismo (Zur Einführung des Narzissmus, 1914).

La libido, secondo Freud, comincerebbe con l'investirsi nell'Io (narcisismo primario) prima di essere inviata, a partire dall'Io, su oggetti esterni: «Noi ci formiamo così l'idea di un investimento libidico originario dell'Io; più tardi una parte di esso viene ceduta agli oggetti, ma fondamentalmente l'investimento dell'Io persiste e si comporta nei confronti degli investimenti oggettuali come il corpo di un animaletto protoplasmatico nei confronti degli pseudopodi da esso prodotti».

Il ripiegamento della libido oggettuale sull'Io costituisce il narcisismo secondario quale si può osservare soprattutto in stati psicotici (ipocondria, delirio di grandezza).

Dal punto di vista terminologico va notato: 1) che «oggettuale», nell'espressione di «libido oggettuale», va inteso nel senso ristretto, cioè con riferimento all'oggetto esterno e non all'Io, il quale in un senso più ampio, può pure essere considerato come oggetto della pulsione; 2) che la preposizione «di» nell'espressione «libido dell'Io» indica la relazione della libido non già al suo punto di partenza bensì al suo punto d'arrivo.

Questa seconda osservazione solleva difficoltà che non sono soltanto terminologiche.

Dapprima Freud ha riconosciuto soltanto una grande dualità pulsionale: pulsioni sessuali - pulsioni dell'Io (o di autoconservazione). L'energia delle prime è designata come libido, l'energia delle seconde come energia delle pulsioni dell'Io o interesse. La nuova distinzione introdotta appare dapprima come una suddivisione delle pulsioni sessuali in funzione del loro oggetto di investimento:

Pulsioni dell'Io (interesse)          Pulsioni sessuali (libido)

                                      Libido dell'Io          Libido oggettuale

Tuttavia, sebbene concettualmente sia netta la distinzione tra pulsioni dell'Io e libido dell'Io, negli stati narcisistici (sonno, malattia somatica) tale distinzione viene a cadere : «Libido e interesse dell'Io hanno in tali casi lo stesso destino ed è di nuovo impossibile distinguerli tra loro». Freud non ammette il monismo pulsionale di Jung.

Una difficoltà analoga si presenta nell'uso, frequente in Freud, di espressioni quali: «...la libido è inviata a partire dall'Io verso gli oggetti». Non si è allora indotti a pensare che la «libido dell'Io» trovi non solo il suo oggetto ma la sua fonte nell'Io, sicché svanirebbe la distinzione tra libido dell'Io e pulsioni dell'Io ? Il problema è tanto più difficile da risolvere in quanto Freud introduce la nozione di libido dell'Io contemporaneamente all'elaborazione della concezione propriamente topica dell'Io. Tale ambiguità ritorna nelle espressioni in cui Freud qualifica l'Io come il «grande serbatoio della libido». L'interpretazione più coerente che si può proporre del pensiero freudiano su questo punto è la seguente: la libido, in quanto energia pulsionale, trova la sua fonte nelle diverse zone erogene; l'Io, come persona totale, immagazzina questa energia libidica di cui esso è il primo oggetto; ma il «serbatoio» si comporta poi, nei confronti degli oggetti esterni, come una fonte, giacché da esso emanano tutti gli investimenti.

SESSUALITÀ.

■ Nell'esperienza e nella teoria psicanalitiche, sessualità non designa soltanto le attività e il piacere che dipendono dal funzionamento dell'apparato genitale, ma tutta una serie di eccitazioni e di attività, già presenti nell'infanzia, che procurano un piacere irriducibile al soddisfacimento di un bisogno fisiologico fondamentale (respirazione, fame, escrezione, ecc.) e che si ritrovano come componenti nella forma detta normale dell'amore sessuale.

■ La psicanalisi, come è noto, attribuisce una grandissima importanza alla sessualità nello sviluppo e nella vita psichica dell'essere umano. Ma questa tesi può essere compresa solo se si tiene conto della trasformazione che ha subito il concetto di sessualità nell'ambito di tale tesi. Non ci proponiamo qui di determinare qual è la funzione della sessualità nella concezione psicanalitica dell'uomo, ma soltanto di precisare, dal punto di vista dell'estensione e della comprensione, l'uso che gli psicanalisti fanno del concetto di sessualità.

Se si parte dalla concezione comune che definisce la sessualità come un istinto, cioè come un comportamento preformato, caratteristico della specie, con un oggetto (compagno del sesso opposto) e una meta (unione degli organi genitali nel coito) relativamente fissi, ci si accorge che essa non fornisce una spiegazione adeguata dei fatti risultanti sia dall'osservazione diretta che dall'analisi.

A) Dal punto di vista dell'estensione.

1) L'esistenza e la frequenza delle perversioni sessuali, di cui alcuni psicopatologi avevano iniziato l'inventario alla fine del XIX secolo (Kraft-Ebbing, Havelock Ellis), mostrano che esiste una grandissima varietà sia nella scelta dell'oggetto sessuale che nel tipo di attività utilizzato per ottenere il soddisfacimento.

2) Freud mette in rilievo che esistono numerose transizioni tra la sessualità pervertita e la sessualità detta normale: apparizione di perversioni temporanee quando il soddisfacimento abituale diventa impossibile; presenza, sotto forma di attività preparatorie e concomitanti del coito (piacere preliminare), di comportamenti che si incontrano nelle perversioni sia come sostituto del coito sia come condizione indispensabile del soddisfacimento.

3) La psicanalisi delle nevrosi mostra che i sintomi costituiscono appagamenti di desideri sessuali attraverso spostamenti, compromessi con la difesa, ecc. Inoltre, dietro i sintomi si scoprono spesso desideri sessuali pervertiti.

4) Ma è soprattutto la scoperta della sessualità infantile che induce Freud ad allargare l'estensione del concetto di sessualità. Parlando di sessualità infantile, non si intende soltanto riconoscere l'esistenza di eccitazioni o di bisogni genitali precoci, ma anche di attività che sono affini alle attività pervertite dell'adulto o perché adoperano zone somatiche (zone erogene) diverse dalle zone genitali o in quanto cercano un piacere (succhiamento del pollice per esempio) indipendentemente dall'esercizio di una funzione biologica (nutrizione per esempio). In questo senso gli psicanalisti parlano di sessualità orale, anale, ecc.

B) Dal punto di vista della, comprensione. — Questo allargamento dell'estensione del campo della sessualità induce necessariamente Freud a cercare i criteri per determinare ciò che sarebbe specificamente sessuale in queste diverse attività. Una volta affermato che la sessualità non è riducibile alla genitalità (allo stesso modo in cui la psiche non è riducibile alla coscienza), che cosa autorizza lo psicanalista ad attribuire un carattere sessuale a processi da cui è assente la genitalità ? Il problema si pone essenzialmente per la sessualità infantile, giacché nel caso delle perversioni dell'adulto l'eccitazione genitale per lo più è presente.

Il problema è esplicitamente affrontato da Freud soprattutto nei capp. XX e XXI della Introduzione alla psicanalisi (Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, 1916-17), in cui formula a se stesso questa obiezione: «Perché lei si ostina tanto a chiamare sessualità queste manifestazioni dell'infanzia che lei stesso considera come indeterminate e a partire dalle quali si costituirà più tardi la sessualità ? Perché non si accontenta della pura descrizione fisiologica dicendo semplicemente che già nel lattante si osservano delle attività, come il succhiamento e la ritenzione degli escrementi, che ci mostrano come il bambino tenda al piacere d'organo* (Organlust)

Pur lasciando aperto il problema, Freud risponde adducendo l'argomento clinico secondo cui l'analisi dei sintomi nell'adulto ci riporta a quelle attività infantili generatrici di piacere e ciò per il tramite di un materiale incontestabilmente sessuale. Postulare che le attività infantili sono a loro volta sessuali suppone un passo ulteriore : per Freud, ciò che si incontra alla fine di uno sviluppo che possiamo ricostituire passo passo doveva trovarsi, almeno in germe, già all'inizio. Tuttavia egli riconosce alla fine che «...non siamo ancora in possesso di un segno universalmente riconosciuto che consenta di affermare con certezza la natura sessuale di un processo».

Freud dichiara spesso che tale criterio dovrebbe essere cercato sul piano della biochimica. Nella psicanalisi, tutto ciò che si può postulare è che esiste una energia sessuale o libido di cui l'osservazione clinica non ci dà la definizione, ma ci mostra l'evoluzione e le trasformazioni.

***

Come si vede, la riflessione freudiana sembra urtare contro una duplice aporia riguardo all'essenza della sessualità (l'ultima parola è lasciata a una ipotetica definizione biochimica) e alla sua genesi, dato che Freud si limita a postulare che la sessualità esiste virtualmente fin dall'inizio.

Questa difficoltà è particolarmente manifesta nel caso della sessualità infantile; ma è proprio qui che si possono trovare delle indicazioni per una soluzione.

1) Già al livello della descrizione quasi fisiologica del comportamento sessuale infantile, Freud ha mostrato che la pulsione sessuale emerge dal funzionamento dei grandi apparati che servono alla conservazione dell'organismo. In un primo tempo, la si può individuare soltanto come un piacere marginale derivante dall'esercizio della funzione (piacere della suzione in aggiunta all'appagamento della fame). In un secondo tempo, questo piacere marginale sarà cercato come fine in sé, indipendentemente da qualsiasi bisogno alimentare, da qualsiasi piacere funzionale, senza oggetto esterno e in modo puramente locale al livello di una zona erogena.

Appoggio, zona erogena, autoerotismo sono per Freud i tre caratteri, strettamente legati gli uni agli altri, che definiscono la sessualità infantile. Come si vede, quando Freud cerca di determinare il momento di emersione della pulsione sessuale, questa appare come una perversione dell'istinto, in cui sono perduti l'oggetto specifico e la finalità organica.

2) In una differente prospettiva temporale, Freud ha insistito in numerose occasioni sul concetto di posteriorità (Nachträglichkeit): ad alcune esperienze precoci relativamente indeterminate viene conferito da nuove esperienze un significato che esse non avevano in origine. Si può dire al limite che le esperienze infantili, quella della suzione per esempio, sono dapprima non sessuali e che il loro carattere sessuale è attribuito loro solo secondariamente, una volta comparsa l'attività genitale? Tale conclusione, nella misura in cui sottolinea gli aspetti retroattivi della costituzione della sessualità, sembra infirmare ciò che dicevamo più sopra sull'emergenza di essa e a fortiori la prospettiva genetica secondo cui la sessualità è già implicitamente presente fin dall'origine dello sviluppo psico-biologico.

È questa appunto una difficoltà fondamentale della teoria freudiana della sessualità: la sessualità, in quanto non è un dispositivo già montato ma si costituisce nel corso di una storia individuale cambiando apparati e mete, non può essere compresa solo sul piano di una genesi biologica; ma d'altro canto i fatti mostrano che la sessualità infantile non è un'illusione retroattiva.

3) Una soluzione a questa difficoltà potrebbe essere cercata, secondo noi, nel concetto di fantasmi originari, che equilibra in qualche modo quella di posteriorità. È noto che con questo termine Freud designa, facendo appello alla «spiegazione filogenetica», alcuni fantasmi (scena originaria, castrazione, seduzione) che sono reperibili in ogni soggetto e che informano la sessualità umana. Quest'ultima non sarebbe quindi spiegabile con la sola maturazione endogena della pulsione, ma si costituirebbe in seno a strutture intersoggettive che preesistono alla sua emergenza nell'individuo.

Per il suo contenuto e per i suoi significati somatici, il fantasma della «scena originaria» può riferirsi elettivamente a un determinato stadio libidico (sadico-anale), ma per la sua struttura (rappresentazione e soluzione dell'enigma della concezione) esso non è spiegabile per Freud con la semplice congiunzione di indizi forniti dall'osservazione; esso costituisce una variante di uno «schema» che è già presente nella psiche del soggetto. A un altro livello strutturale, si potrebbe dire altrettanto del complesso di Edipo, che regola la relazione triangolare del bambino e dei genitori. Ora, è significativo che gli psicanalisti che si sono maggiormente adoperati per descrivere il gioco fantasmatico immanente alla sessualità infantile (scuola kleiniana), vi abbiano visto in azione molto precocemente la struttura edipica.

4) La cautela di Freud nei confronti di una concezione puramente genetica e endogena della sessualità si manifesta anche nel ruolo che egli ha continuato ad attribuire alla seduzione, una volta riconosciuta l'esistenza di una sessualità infantile.

Legata, almeno originariamente, a bisogni tradizionalmente chiamati istinti, e allo stesso tempo indipendente da essi, endogena in quanto ha una linea di sviluppo e passa per diverse fasi, e insieme esogena in quanto erompe nel soggetto a partire dal mondo adulto (il soggetto infatti deve fin dall'inizio collocarsi nell'universo fan- tasmatico dei genitori e ricevere da essi, in forma più o meno velata, delle eccitazioni sessuali), la sessualità infantile è difficile da cogliere, anche perché non è suscettibile né di una spiegazione riduttiva che ne faccia un'attività fisiologica, né di una interpretazione «nobilitante» che veda nella sessualità infantile descritta da Freud le vicissitudini della relazione d'amore. Nelle sue analisi Freud individua la sessualità sempre sotto forma di desiderio: a differenza dell'amore, il desiderio è strettamente dipendente da un supporto corporeo determinato e, a differenza del bisogno, il suo soddisfacimento dipende da condizioni fantasmatiche che determinano nettamente la scelta dell'oggetto e l'organizzazione dell'attività.

EROS.

■ Termine con cui i Greci denominavano l’amore e il dio Amore. Freud lo utilizza nella sua ultima teoria delle pulsioni per indicare l’insieme delle pulsioni di vita in opposizione alle pulsioni di morte.

■ Rinviamo il lettore alla voce pulsioni di vita, limitandoci qui a formulare alcune osservazioni sull'uso del termine Eros per designare tali pulsioni.

È noto quanto Freud tenesse a ricollegare i suoi concetti sulle pulsioni* a idee filosofiche generali : opposizione «popolare» tra amore e fame nella prima teoria, opposizione empedoclea amicizia e odio nell'ultima teoria.

Freud fa più volte riferimento all'Eros platonico in cui scorge molte analogie con ciò che egli intende per sessualità; egli ha infatti sottolineato esplicitamente che essa non si confonde con la funzione genitale. Certe critiche che sostengono che Freud riduce tutto alla sessualità (nel senso corrente del termine) non reggono più quando si sia dissipata tale confusione: il termine di sessuale va usato «...nel senso di Eros, come è ora d'uso corrente nella psicanalisi».

D'altra parte, Freud non ha trascurato di sottolineare l'inconveniente che presenta l'impiego del termine Eros, se esso deve indurre a camuffare la sessualità. Citiamo, per esempio, questo passo : «Coloro che considerano la sessualità come qualcosa che fa vergogna alla natura umana e che l'abbassa sono liberi di servirsi di termini più distinti come Eros ed erotico. Anch'io avrei potuto risparmiarmi molte opposizioni agendo così sin dall'inizio, ma non ho voluto farlo poiché mi ripugna di fare delle concessioni alla pusillanimità. Non si sa mai dove si va a finire: si comincia col cedere sulle parole e si finisce per cedere sulla cosa». Il punto è che l'uso di Eros rischia di ridurre sempre più la portata della sessualità a profitto delle sue manifestazioni sublimate.

A partire da Al di là del principio di piacere ( Jenseits des Lustprinzips, 1920) Freud utilizza correntemente «Eros» come sinonimo di pulsione di vita, con lo scopo però di inserire la sua nuova teoria delle pulsioni in una tradizione filosofica e mitica dì portata universale (per esempio, il mito di Aristofane nel Simposio di Platone). Eros infatti è concepito come ciò che ha lo scopo «...di complicare la vita radunando in unità sempre più ampie la sostanza vivente, sparpagliata in particelle, e naturalmente di mantenerla in quello stato».

Il termine Eros è usato generalmente per designare le pulsioni sessuali con un'intenzione deliberatamente speculativa; citiamo per esempio queste righe : «La speculazione trasforma questa opposizione [tra pulsioni libidiche e pulsioni di distruzione] in quella tra pulsioni di vita (Eros) e pulsioni di morte».

Come situare l'uno rispetto all'altro i termini di «Eros» e di «libido»? Quando Freud introduce Eros in Al di là del principio di piacere, pare li assimili tra loro: «La libido delle nostre pulsioni sessuali coinciderebbe con l'Eros dei poeti e dei filosofi che mantiene la coesione di tutto ciò che vive». Notiamo che questi due termini sono mutuati da lingue antiche e indicano entrambi un intento di teorizzazione che trascende il campo dell'esperienza analitica. A parte ciò, il termine «libido» è sempre stato usato — e continuerà a esserlo dopo l'introduzione di «Eros» — in una prospettiva economica per designare l'energia delle pulsioni sessuali (cfr. per esempio queste parole del Compendio di psicanalisi [Abriss der Psychoanalyse, 1938]: «tutta l'energia disponibile dell'Eros, che d'ora in poi chiameremo libido...»).

PULSIONI Dl VITA.

• Grande categoria di pulsioni che Freud contrappone, nella sua ultima teoria, alle pulsioni di morte. Esse tendono a instaurare unità sempre più grandi e a mantenerne la coesione. Le pulsioni di vita, che sono designate anche col termine di Eros, ricoprono non solo le pulsioni sessuali propriamente dette, ma anche le pulsioni di autoconservazione.

■ In Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920) Freud ha introdotto la grande opposizione, che egli sosterrà fino alla fine della sua opera, tra pulsioni di morte* e pulsioni di vita. Le prime tendono alla distruzione delle unità vitali, al livellamento radicale delle tensioni e al ritorno allo stato inorganico considerato come lo stato di quiete assoluta. Le seconde mirano non solo a con-servare le unità vitali esistenti, ma a costituire, a partire da esse, unità più comprensive. Esisterebbe quindi, anche al livello cellulare, una tendenza «...che cerca di attuare e di mantenere la coesione delle parti della sostanza vivente». Questa tendenza si ritrova nell'organismo individuale in quanto esso cerca di mantenere la sua unità e la sua esistenza (pulsioni di autoconservazione, libido narcisistica). La stessa sessualità nelle sue forme manifeste è definita come principio di unione (unione degli individui nell'accoppiamento, unione dei gameti nella fecondità).

È la loro opposizione alle pulsioni di morte che consente di cogliere meglio ciò che Freud intende per pulsioni di vita: esse si contrappongono tra loro come due grandi principi che sarebbero in azione già nel mondo fisico (attrazione-repulsione) e che sarebbero soprattutto alla base dei fenomeni vitali (anabolismo-catabolismo).

Questo nuovo dualismo pulsionale non è esente da difficoltà:

1) L'introduzione da parte di Freud della nozione di pulsione di morte corrisponde a una riflessione su ciò che vi è di più fondamentale in ogni pulsione: il ritorno a uno stato precedente. Nella prospettiva evoluzionistica esplicitamente scelta da Freud, questa tendenza regressiva non può che mirare a ristabilire forme meno differenziate, meno organizzate, prive al limite di differenze di livello energetico. Questa tendenza si esprime eminentemente nella pulsione di morte mentre la pulsione di vita è definita come un movimento inverso, cioè la formazione e il mantenimento di forme più differenziate e più organizzate, la costanza e perfino l'aumento delle differenze di livello energetico tra l'organismo e l'ambiente. Freud si dichiara incapace di mostrare nel caso delle pulsioni di vita in che cosa esse obbediscano a ciò che egli ha definito come la formula generale di ogni pulsione, il suo carattere conservatore o meglio regressivo. «Per l'Eros (la pulsione di amore) non possiamo applicare la stessa formula, giacché ciò equivarrebbe a postulare che la sostanza vivente sia stata un tempo un'unità e si sia successivamente frammentata per tendere ora alla riunificazione». Freud è allora costretto a rifarsi a un mito, il mito di Aristofane nel Convito di Platone, secondo cui l'accoppiamento sessuale cercherebbe di ristabilire l'unità perduta di un essere originariamente androgino, antecedente alla separazione dei sessi.

2) Sul piano dei principi del funzionamento psichico corrispondenti ai due grandi gruppi di pulsioni, si ritrovano la stessa opposizione e la stessa difficoltà: il principio del Nirvana, che corrisponde alle pulsioni di morte, è chiaramente definito; ma il principio di piacere (e la sua modificazione in principio di realtà), che dovrebbe rappresentare l'esigenza delle pulsioni di vita, si lascia difficilmente cogliere nella sua accezione economica ed è riformulato da Freud in termini «qualitativi»

Le ultime formulazioni di Freud (Compendio di psicanalisi [Abriss der Psychoanalyse, 1938]) indicano che il principio sottostante alle pulsioni di vita è un principio di legame. «La meta dell'Eros è di stabilire unità sempre più grandi e così conservarle: è quindi il legame. La meta dell'altra pulsione invece è dissolvere le connessioni, quindi di distruggere le cose».

Come si vede, anche sul piano economico, la pulsione di vita non calza col modello energetico della pulsione come tendenza alla riduzione delle pulsioni. In certi passi Freud arriva a contrapporre l'Eros al generale carattere conservatore della pulsione.

Infine, sebbene Freud pretenda di riconoscere nelle pulsioni di vita ciò che prima aveva designato come pulsione sessuale, ci si può chiedere se questa identificazione non corrisponda a un cambiamento della posizione della sessualità nella struttura del dualismo freudiano. Nelle grandi coppie di opposti definite da Freud: energia libera - energia legata, processo primario - processo secondario, principio di piacere - principio di realtà, e, nel Progetto per una psicologia scientifica (Entwurf einer Psychologie, 1895), principio di inerzia - principio di costanza, la sessualità corrispondeva fino allora ai primi termini, e appariva come una forza essenzialmente disgregatrice. Col nuovo dualismo pulsionale, è la pulsione di morte che diventa «questa forza primaria», «demoniaca» e propriamente pulsionale, mentre la sessualità paradossalmente passa dalla parte del legame.

AGGRESSIVITA’

• Tendenza o insieme di tendenze che si attuano in condotte reali o fantasmatiche, miranti a danneggiare un altro, demolirlo,

diverse dall'azione motoria violenta e distruttrice; non vi è nessuna condotta, negativa (rifiuto di assistenza, per esempio) o positiva, simbolica (ironia, per esempio) o effettivamente eseguita, che non possa funzionare come aggressione. La psicanalisi ha dato un'importanza crescente all'aggressività, mostrandola in azione molto presto nello sviluppo del soggetto e sottolineando il gioco complesso della sua fusione e delusione con la sessualità. Questo sviluppo teorico culmina nel tentatilo di cercare un sostrato pulsionale unico e fondamentale dell'aggressività nel concetto di pulsione di morte.

■ Secondo l'opinione corrente, Freud avrebbe ammesso solo molto tardi l'importanza dell'aggressività. Tale opinione sembrerebbe avvalorata da Freud stesso : «Perché — egli si chiede — ci è stato necessario tanto tempo prima di deciderci ad ammettere una pulsione aggressiva ? Perché abbiamo esitato a utilizzare, per la teoria, dei fatti che erano evidenti e familiari a chiunque ?». In realtà, le due domande qui poste da Freud vanno disgiunte, giacché, se è vero che l'ipotesi di una «pulsione di aggressione» autonoma, formulata da Adler già nel 1908, è stata a lungo rifiutata da Freud, non sarebbe però esatto dire che la teoria psicanalitica rifiutasse, prima della «svolta del 1920», di prendere in considerazione le condotte aggressive.

È facile mostrarlo a più di un livello. Anzitutto nella cura, in cui molto presto Freud incontra la resistenza con il suo sovrattono aggressivo: «...il paziente, che all'inizio era così bene educato e gentile, diviene volgare, menzognero e insolente, un simulatore, fino a che glielo dico apertamente e lo metto così in grado di vincere questo carattere degenerativo». Inoltre Freud, già nel Caso Dora (Frammento di analisi di una isteria [Bruchstück einer Hysterie- Analyse, 1905]), vede nell'intervento dell'aggressività un tratto particolare del trattamento psicanalitico: «... durante gli altri trattamenti il malato si limita a evocare spontaneamente dei transfert teneri e amichevoli che favoriscono la sua guarigione [...]. Nella psicanalisi invece [...] tutti gli impulsi, anche quelli ostili, vengono risvegliati e utilizzati dall'analisi col renderli coscienti». Freud ha visto subito nel transfert una forma di resistenza, che è dovuta in gran parte a ciò che egli chiamerà transfert negativo.

L'osservazione clinica mostra che le tendenze ostili sono particolarmente forti in talune affezioni (nevrosi ossessiva, paranoia). Il concetto di ambivalenza indica inoltre la coesistenza su uno stesso piano dell’amore e dell’odio, se non al livello metapsicogico più fondamentale, almeno nell'esperienza. Va ricordata inoltre l'analisi che Freud ha dato della battuta di spirito, in cui dichiara che essa, «... quando non è fine a se stessa, cioè innocua, non può che porsi al servizio di due tendenze [...]: o è una battuta di spirito ostile (che serve all'aggressione, alla satira, alla difesa), o è una battuta di spirito oscena...».

Freud parla varie volte a questo proposito di «pulsione ostile», «tendenza ostile». Infine, il complesso di Edipo è scoperto immediatamente come congiunzione di desideri amorosi e ostili (esso è presentato per la prima volta in L'interpretazione dei sogni [Die Traumdeutung, 1900] proprio nella sezione «I sogni della morte di persone care»); la sua graduale elaborazione metterà sempre più in evidenza l'azione di questi due tipi di desiderio nelle diverse situazioni possibili.

La varietà, l'estensione, l'intensità di questi fenomeni richiedevano una spiegazione nella prima teoria delle pulsioni. In sintesi, si può dire che la risposta di Freud si articola su vari piani:

1) Egli si rifiuta di ipostatizzare dietro queste tendenze e condotte aggressive una pulsione specifica, perché gli sembra che tale concezione porterebbe ad attribuire a una sola pulsione ciò che per lui caratterizza la pulsione, cioè il fatto di essere una spinta cui non si può sfuggire, che esige dall'apparato psichico un certo lavoro e preme sulla motricità. In questo senso, per raggiungere le sue mete, anche se «passive» (essere amato, essere visto, ecc.), la pulsione richiede un'attività che può incontrare degli ostacoli da superare: «Ogni pulsione è un frammento di attività».

2) È noto che, nella prima teoria delle pulsioni, alle pulsioni sessuali vengono opposte le pulsioni di autoconservazione. Queste ultime, in generale, hanno come funzione il mantenimento e l'affermazione dell'esistenza individuale. Entro questa cornice teorica, la spiegazione di condotte o di sentimenti così manifestamente aggressivi come il sadismo o l'odio, per esempio, è cercata in un gioco complesso dei due grandi tipi di pulsioni. La lettura di Pulsioni e loro destino (Triebe und Triebschicksale, 1915) mostra che Freud dispone di una teoria metapsicologica dell'aggressività. L'apparente trasformazione dell'amore in odio è solo un'illusione; l'odio non è un amore negativo, ma ha la sua propria genesi, di cui Freud mostra tutta la complessità. La tesi centrale è che «i veri prototipi della relazione di odio non vengono dalla vita sessuale, ma dalla lotta dell'Io per la sua conservazione e la sua affermazione».

3) Infine, nel campo delle pulsioni di autoconservazione, Freud specifica, come funzione o persino come pulsione indipendente, l'attività di garantire il proprio potere sull'oggetto (Bemächtigungstrieb). Con questa nozione egli sembra designare una specie di campo intermedio tra la semplice attività inerente a ogni pulsione e una tendenza alla distruzione per la distruzione. La pulsione di impossessamento è una pulsione indipendente, legata a un apparato particolare (la muscolatura) e a una fase precisa dell'evoluzione (fase sadico-anale). Ma d'altra parte, «... nuocere all'oggetto o annientarlo le è indifferente», in quanto la considerazione dell'altro e della sua sofferenza appare soltanto nel rovesciamento masochistico, stadio in cui la pulsione di impossessamento diventa indistinguibile dall'eccitazione sessuale da essa provocata .

***

Nell'ultima teoria delle pulsioni, l'aggressività svolge un ruolo più importante e occupa un posto diverso.

La teoria esplicita di Freud in merito all'aggressività può essere così riassunta: «Una parte [della pulsione di morte] è posta direttamente al servizio della pulsione sessuale, in cui svolge un ruolo importante: è questo il sadismo propriamente detto. Un'altra parte non segue questa deviazione verso l'esterno, ma resta nell'organismo in cui è legata libidicamente mediante l'eccitazione sessuale che l'accompagna [...]; in ciò riconosciamo il masochismo originario, erogeno*».

Freud riserva per lo più il nome di pulsione di aggressione (Aggressionstrieb) alla parte della pulsione di morte rivolta verso l'esterno specie mediante la muscolatura. Va notato che questa pulsione di aggressione, al pari forse della tendenza all'autodistruzione, non può mai essere colta, secondo Freud, se non nella sua fusione con la sessualità (vedi: Fusione-Defusione).

Il dualismo pulsioni di vita - pulsioni di morte è spesso assimilato dagli psicanalisti a quello della sessualità e dell'aggressività, e Freud stesso si muove a volte in questa direzione. Tale assimilazione richiede tuttavia varie osservazioni:

1) I fatti invocati da Freud in Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920) per giustificare l'introduzione della nozione di pulsione di morte sono fenomeni in cui compare la coazione a ripetere, la quale non è connessa essenzialmente con condotte aggressive.

le manifestazioni dell’aggressività che assumono un'importanza sempre maggiore per Freud, hanno tutte un carattere di autoaggressione : lutto e melanconia, «senso di colpa inconscio», «reazione terapeutica negativa», ecc., fenomeni che lo inducono a parlare delle «misteriose tendenze masochistiche dell'Io».

3) Riguardo ai concetti impiegati, pulsioni di vita o Eros sono ben lungi dall'essere soltanto una nuova denominazione di ciò che era prima chiamato sessualità. Con il nome di Eros* infatti Freud designa il complesso delle pulsioni che creano o mantengono delle unità, sicché in esso sono alla fine incorporate non solo le pulsioni sessuali in quanto tendenti a conservare la specie, ma anche le pulsioni di autoconservazione che mirano a mantenere e ad affermare l'esistenza individuale.

4) Analogamente, la nozione di pulsione di morte non è semplicemente un concetto generico comprendente senza distinzione ed esclusivamente tutto ciò che era prima individuato come manifestazioni aggressive. Una parte, infatti, di ciò che si può chiamare lotta per la vita spetta all'Eros; inversamente, la pulsione di morte include, e probabilmente in modo più netto, ciò che Freud aveva riconosciuto nella sessualità umana come specifico del desiderio inconscio: la sua irriducibilità, la sua insistenza, il suo carattere «dereale» e, dal punto di vista economico, la sua tendenza alla riduzione assoluta delle tensioni.

***

Ci si può chiedere quali siano gli aspetti nuovi della nozione di aggressività dopo il 1920. Si potrebbe rispondere in particolare che:

1) È ampliato il campo in cui è riconosciuta l'azione dell'aggressività. Da un lato la concezione di una pulsione distruttrice, capace di volgersi verso l'esterno e di ripiegarsi verso l'interno, induce a fare delle vicende del sado-masochismo una realtà molto complessa, atta a spiegare numerose modalità della vita psichica. D'altro lato, l'aggressività non si applica più soltanto alle relazioni con l'oggetto o con se stesso, ma anche alle relazioni tra le diverse istanze (conflitto tra il Super-io e l'Io).

2) Localizzando la pulsione di morte, all'origine, nella persona propria, facendo dell'autoaggressione il principio stesso dell'aggressività, Freud trasforma radicalmente la concezione classica dell'aggressività, considerata come modo di relazione con l'altro, violenza esercitata sull'altro. E opportuno forse a questo riguardo contrapporre a talune dichiarazioni di Freud sulla malvagità naturale dell'uomo l'originalità della sua propria teoria.

3) Infine, consente l'ultima teoria delle pulsioni di caratterizzare meglio l'aggressività rispetto alla nozione di attività ? Come è stato notato da Daniel Lagache, «attività appare subito come un concetto molto più esteso di aggressività; tutti i processi biologici o psicologici sono forme di attività. Aggressività designa quindi in linea di principio soltanto alcune forme di attività». Ora, dato che Freud tende ad attribuire all'Eros tutto ciò che appartiene all'ordine dei comportamenti vitali, egli induce a interrogarsi su ciò che definisce il comportamento aggressivo; un elemento di risposta può essere fornito dal concetto di fusione-de- fusione. Esso infatti non designa semplicemente il fatto che esistono, in proporzioni diverse, delle leghe pulsionali, ma implica anche l'idea che la disunione è essenzialmente il trionfo della pulsione di distruzione in quanto tendenza a distruggere le unità complesse che Eros tende a creare e a mantenere. In questa prospettiva, l'aggressività verrebbe ad essere una forza radicalmente disorganizzatrice e frammentatrice. Questi caratteri sono stati sottolineati dagli autori che, come Melanie Klein, insistono sul ruolo predominante svolto dalle pulsioni aggressive fin dalla prima infanzia.

***

Tale concezione, come si vede, si muove in direzione opposta all'evoluzione in psicologia del senso dei termini derivati dall'etimo di aggressione. In inglese in particolare, English e English, nel loro A comprehensive Dictionary of Psychological and Psychoanalytical Terms, hanno notato che aggressiveness ha finito col perdere, in una accezione attenuata, qualsiasi connotazione di ostilità fino a divenire sinonimo di «spirito di iniziativa», «energia», «attività»; il termine di aggressivity sarebbe invece meno attenuato e si inserisce meglio nella serie aggression, to aggress (a).

PULSIONE D'AGGRESSIONE.

• Designa per Freud le pulsioni di morte in quanto rivolte verso l'esterno. La meta della pulsione di aggressione è la distruzione dell'oggetto.

■ Il concetto di pulsione di aggressione è stato introdotto da Alfred Adler nel 1908, insieme a quello di «incrocio pulsionale» (Trieb- verschränkung) (vedi: Unione-Disunione). Sebbene l'analisi del piccolo Hans avesse messo in evidenza poco prima l'importanza e le dimensioni delle tendenze e delle condotte aggressive, Freud si rifiutò di farle dipendere da una «pulsione d'aggressione» specifica : «Non posso decidermi ad ammettere accanto alle pulsioni di autoconservazione e alle pulsioni sessuali, che conosciamo bene, e sul loro stesso piano una particolare pulsione d'aggressione». La nozione di pulsione d'aggressione monopolizzerebbe indebitamente ciò che caratterizza qualsiasi pulsione .

Quando Freud riprende più tardi, a partire da Aldilà del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920), il termine di Aggressionstrieb, lo inquadra nella teoria dualistica delle pulsioni di vita e delle pulsioni di morte.

Sebbene i testi non consentano di derivare un uso assolutamente univoco del termine né una distinzione precisa tra pulsione di morte, pulsione di distruzione e pulsione di aggressione, appare chiaro tuttavia che quest'ultimo termine raramente è utilizzato nel senso più estensivo e che esso designa per lo più la pulsione di morte rivolta verso l'esterno.

PULSIONE DI DISTRUZIONE.

• Termine usato da Freud per designare le pulsioni di morte, in una prospettiva più vicina all'esperienza biologica e psicologica. Talora la sua estensione è uguale a quella del termine di pulsione di morte, ma per lo più qualifica la pulsione di morte in quanto orientata verso il mondo esterno. In questo senso più specifico, Freud usa anche il termine «pulsione d'aggressione» (Aggressionstrieb).

■ La nozione di pulsione di morte è stata introdotta in Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920) su un piano nettamente speculativo; ma già in questo testo Freud si preoccupa di accertarne gli effetti nell'esperienza. Nei testi successivi egli parla spesso di pulsione di distruzione, il che gli permette di determinare più esattamente la meta delle pulsioni di morte.

Siccome le pulsioni di morte agiscono «essenzialmente in silenzio», come dice Freud, e possono quindi essere individuate solo quando agiscono al di fuori, è chiaro che il termine «pulsione di distruzione» tende a indicarne gli effetti più accessibili, più manifesti. La pulsione di morte si distacca dalla persona propria a causa dell'investimento di essa da parte della libido narcisistica e si rivolge verso il mondo esterno per il tramite della muscolatura; essa «...si manifesterebbe ora — certo in modo solo parziale — come pulsione di distruzione diretta contro il mondo esterno e altri esseri viventi».

In altri testi, questo senso restrittivo di pulsione di distruzione rispetto alla pulsione di morte non è nettamente delimitato, in quanto Freud include nella pulsione di distruzione l'autodistruzione (Selbstdestruktion). Quanto al termine di «pulsione di aggressione», esso è riservato alla distruzione rivolta verso l'esterno.

PULSIONI DI MORTE.

• Nel quadro dell'ultima teoria freudiana delle pulsioni, designano una categoria fondamentale delle pulsioni che si oppongono alle pulsioni di vita e tendono alla riduzione completa delle tensioni, cioè a' ricondurre l'essere vivente allo stato inorganico,

Rivolte dapprima verso l'interno e tendenti all'autodistruzione, le pulsioni di morte verrebbero successivamente dirette verso l'esterno, manifestandosi allora sotto forma di pulsione di aggressione o di distruzione.

■ La nozione di pulsione di morte, introdotta da Freud in Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920), e costantemente riaffermata da lui fino alla fine della sua opera, non è riuscita a imporsi ai discepoli e alla posterità di Freud allo stesso titolo della maggior parte dei suoi apporti concettuali; essa rimane una delle nozioni più controverse. Per coglierne il senso, non è sufficiente, secondo noi, rifarsi alle tesi di Freud che la concernono o ritrovare nell'esperienza clinica le manifestazioni che sembrano più atte a giustificare questa ipotesi speculativa; occorre anche inquadrarla nell'evoluzione del pensiero freudiano e individuare la necessità strutturale a cui risponde la sua introduzione nel quadro di un rimaneggiamento più generale (svolta degli anni 20). Solo un approfondimento di questo genere può permettere di ritrovare, al di là degli enunciati espliciti di Freud e anche della sua convinzione di introdurre un'innovazione radicale, l'esigenza rivelata da questa nozione, esigenza che aveva già trovato, in altre forme, il suo posto in modelli precedenti.

---------------------------------

Riassumiamo dapprima le tesi di Freud concernenti la pulsione di morte. Essa rappresenta la tendenza fondamentale di ogni essere vivente a ritornare allo stato inorganico. Sotto questo aspetto, «se ammettiamo che l'essere vivente è venuto dopo il non vivente ed è sorto da esso, la pulsione di morte concorda bene con la formula [...] secondo cui unä pulsione tende al ritorno a uno stato precedente». In questa prospettivi, «ogni essere vivente muore necessariamente per cause interne». Negli esseri pluricellulari, «...la libido incontra la pulsione di morte o di distruzione che domina in essi, e che tende a disintegrare questo organismo cellulare e a portare ogni organismo elementare (ogni cellula) allo stato di stabilità inorganica [...]. Essa ha il compito di rendere inoffensiva questa pulsione distruttiva e se ne libera deviandola in gran parte verso l'esterno, dirigendola contro gli oggetti del mondo esterno, servendosi presto di un sistema organico particolare, la muscolatura. Questa pulsione si chiama allora pulsione di distruzione, pulsione d'impossessamento, volontà di potenza. Una parte di questa pulsione è posta direttamente al servizio della pulsione sessuale in cui essa ha un importante ruolo da svolgere. È questo il sadismo propriamente detto. Un'altra parte non segue questo spostamento verso l'esterno, ma rimane nell'organismo in cui viene legata libidicamente [...]. È in essa che dobbiamo riconoscere il masochismo originario, erogeno».

Nello sviluppo libidico dell'individuo, Freud ha potuto descrivere il gioco combinato della pulsione di vita e della pulsione di morte sia nella sua forma sadica che nella sua forma masochistica.

Le pulsioni di morte si inquadrano in un nuovo dualismo in cui si oppongono alle pulsioni di vita (o Eros*), sotto cui ormai viene sussunto l'insieme delle pulsioni precedentemente distinte da Freud (vedi: Pulsioni di vita; Pulsione sessuale; Pulsioni di autoconservazione; Pulsioni dell'Io). Le pulsioni di morte appaiono quindi, nella concettualizzazione freudiana, come un tipo del tutto nuovo di pulsioni, che non trovava posto nelle classificazioni precedenti (il sadismo e il masochismo per esempio erano spiegati con un gioco complesso di pulsioni con orientamento pienamente positivo); ma nello stesso tempo Freud vede in esse le pulsioni per eccellenza in quanto vi si realizza eminentemente il carattere ripetitivo della pulsione.

***

Quali sono i motivi più manifesti che inducono Freud a porre l'esistenza di una pulsione di morte ?

1) La presa in considerazione, su diversi piani, dei fenomeni di ripetizione (vedi: Coazione a ripetere) che difficilmente possono essere ricondotti alla ricerca di un soddisfacimento libidico o a un semplice tentativo di dominare le esperienze spiacevoli; Freud vede in essi il segno del «demoniaco», di una forza irreprimibile, indipendente dal principio di piacere e capace di opporsi a esso. A partire da questo concetto, Freud è indotto a formulare l'idea di un carattere regressivo della pulsione, idea che, sviluppata sistematicamente, lo porta a vedere nella pulsione di morte la pulsione per eccellenza.

2) L'importanza assunta nell'esperienza psicanalitica dalle nozioni di ambivalenza, aggressività, sadismo e masochismo, quali risultano per esempio dall'osservazione clinica della nevrosi ossessiva e della melanconia.

3) L'odio era subito apparso a Freud come qualcosa che non poteva essere dedotto, dal punto di vista metapsicologico, dalle pulsioni sessuali. Egli non farà mai propria la tesi secondo cui «...tutto ciò che vi è nell'amore di pericoloso e di ostile dovrebbe essere attribuito piuttosto a una bipolarità originaria del suo proprio essere». In Pulsioni e loro destino (Triebe und Triebschicksale, 1915), il sadismo e l'odio sono messi in rapporto con le pulsioni dell'Io: «...i veri prototipi della relazione di odio non provengono dalla vita sessuale, bensì dalla lotta dell'Io per la sua conservazione e la sua affermazione»; Freud vede nell'odio una relazione con gli oggetti «più antica dell'amore». Quando, in seguito all'introduzione del narcisismo, egli tende ad abbandonare la distinzione tra due tipi di pulsione (pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io) riducendole a modalità della libido, gli è dovuto sembrare particolarmente difficile dedurre l'odio nel quadro di un monismo pulsionale. Il problema di un masochismo primario sollevato già nel 1915 era una prima indicazione di uno dei due poli del nuovo grande dualismo pulsionale.

L'esigenza dualistica, come è noto, è fondamentale nel pensiero freudiano e si rivela in numerosi aspetti strutturali della teoria, per esempio nella nozione di coppie di opposti. Essa è particolarmente imperiosa quando si tratta delle pulsioni, giacché esse forniscono le forze che si affrontano in ultima analisi nel conflitto psichico.

***

Qual è il ruolo che Freud fa svolgere alla nozione di pulsione di morte ? Va notato anzitutto che egli stesso sottolinea che essa è fondata soprattutto su considerazioni speculative e che essa gradualmente si è quasi imposta alla sua mente: «All'inizio ho esposto queste concezioni nel solo intento di vedere dove portavano; ma, nel corso degli anni, esse hanno acquistato un tale potere su di me che non posso più pensare diversamente». Pare che siano stati soprattutto il valore teorico della nozione e il suo accordo con una determinata concezione della pulsione che hanno reso Freud così propenso a sostenere la tesi della pulsione di morte, malgrado le «resistenze» che essa incontrava nell'ambiente psicanalitico e nonostante la difficoltà a fondarla nell'esperienza concreta. Infatti, come è stato sottolineato a più riprese da Freud, i fatti mostrano, anche nei casi in cui è più manifesta la tendenza alla distruzione degli altri o di se stessi, in cui è più cieco il furore di distruzione, che può sempre essere presente un soddisfacimento libidico, soddisfacimento sessuale rivolto verso l'oggetto o godimento narcisistico. «Ciò con cui abbiamo a che fare non sono mai moti pulsionali puri, ma leghe di due pulsioni in proporzioni svariate». È in questo senso che Freud dice talora della pulsione di morte che essa «...si sottrae alla percezione quando non è colorata di erotismo».

Da ciò derivano inoltre le difficoltà che incontra Freud nell'utilizzare il nuovo dualismo pulsionale nella teoria delle nevrosi e nei modelli del conflitto : «Facciamo continuamente l'esperienza che i moti pulsionali, quando possiamo ritracciarne il percorso, si rivelano essere dei derivati dell'Eros. Se non fossero le considerazioni esposte in Al di là del principio di piacere e infine i contributi del sadismo all'Eros, ci sarebbe difficile mantenere la nostra concezione dualistica fondamentale».

In un testo come Inibizione, sintomo e angoscia (Hemmung, Symptom und Angst, 1926), che riconsidera il problema complessivo del conflitto nevrotico e delle sue diverse modalità, si rimane effettivamente colpiti nel costatare il poco spazio riservato da Freud all'opposizione tra i due grandi tipi di pulsioni, opposizione a cui egli non fa svolgere alcun ruolo dinamico. Quando Freud si pone esplicitamente il problema della relazione tra le istanze della personalità da lui differenziate — Es, Io, Super-io — e le due categorie di pulsioni, si nota che il conflitto tra istanze non è sovrapponibile al dualismo pulsionale; sebbene Freud si sforzi di determinare la parte assunta dalle due pulsioni nella costituzione di ogni istanza, quando si tratta invece di descrivere le modalità del conflitto, non si vede in azione il supposto antagonismo tra pulsioni di vita e pulsioni di morte : «Non si può limitare l'una o l'altra delle pulsioni fondamentali a una delle province psichiche. Deve essere possibile ritrovarle ovunque». Spesso lo iato tra la nuova teoria delle pulsioni e la nuova topica è ancora più sensibile: il conflitto diventa un conflitto tra istanze, in cui l'£s finisce per rappresentare l'insieme delle esigenze pulsionali in opposizione all'Io. È in questo senso che Freud ha potuto dire che, su un piano empirico, la distinzione tra le pulsioni dell'Io e le pulsioni oggettuali conserva il suo valore; solo «...la speculazione teorica ci fa sospettare l'esistenza di due pulsioni fondamentali [Eros e pulsione di distruzione] che si nascondono dietro le pulsioni manifeste, pulsioni dell'Io e pulsioni oggettuali». Come si vede, Freud riprende • qui, perfino sul piano pulsionale, un modello del conflitto precedente a Al di là del principio di piacere (vedi: Libido dell'Io - libido oggettuale), supponendo semplicemente che ciascuna delle due forze in presenza che si vedono effettivamente affrontarsi («pulsioni dell'Io», «pulsioni oggettuali») ricopra essa stessa una fusione* di pulsioni di vita e di morte.

Infine, si è colpiti dinanzi agli scarsi cambiamenti manifesti che la nuova teoria delle pulsioni apporta sia nella descrizione del conflitto difensivo che in quella dell'evoluzione delle fasi pulsionali.

Sebbene Freud affermi e mantenga fino alla fine della sua opera la nozione di pulsione di morte, non la considera come una ipotesi richiesta dalla teoria delle nevrosi. Egli la sostiene da un lato perché è il prodotto di un'esigenza speculativa che Freud considera fondamentale e, dall'altro, perché gli sembra suggerita ineluttabilmente dall'esistenza di fatti ben precisi, irriducibili, che assumono ai suoi occhi un'importanza crescente nell'esperienza clinica e nella cura: «Se si abbraccia nel suo insieme il quadro composto dalle manifestazioni del masochismo immanente a tante persone, la reazione terapeutica negativa e il senso di colpa dei nevrotici, non ci si potrà più aggrappare alla credenza che il funzionamento psichico sia dominato esclusivamente dalla tendenza al piacere. Questi fenomeni indicano in un modo che non si può ignorare la presenza nella vita psichica di una potenza che chiamiamo secondo le sue mete pulsione di aggressione o di distruzione e che facciamo derivare dall'originaria pulsione di morte della materia animata».

Si potrebbe perfino intravedere l'azione della pulsione di morte allo stato puro quando tende a separarsi dalla pulsione di vita, per esempio nel caso del melanconico in cui il Super-io appare come «...una coltura della pulsione di morte».

***

Freud stesso rileva che, dato che la sua ipotesi «...poggia essenzialmente su basi teoriche, bisogna ammettere che essa non è neppure completamente al riparo dalle obiezioni teoriche». E in questa direzione si sono mossi numerosi analisti sostenendo che la nozione di pulsione di morte era inaccettabile e che i fatti clinici citati da Freud dovevano essere interpretati senza fare ricorso ad essa. In modo molto schematico, queste critiche possono essere classificate secondo vari livelli:

1) Da un punto di vista metapsicologico, rifiuto di fare della riduzione delle tensioni l'appannaggio di un gruppo determinato di pulsioni.

2) Tentativi per descrivere una genesi dell'aggressività: o facendone in partenza un correlato di ogni pulsione in quanto si realizza in una attività imposta dal soggetto all'oggetto, oppure vedendo in essa una reazione secondaria alla frustrazione proveniente dall'oggetto.

3) Riconoscimento dell'importanza e dell'autonomia di pulsioni aggressive, ma senza che esse possano essere attribuite a una tendenza auto-aggressiva; rifiuto di ipostatizzare, in ogni essere vivente, la coppia di opposti: pulsioni di vita - pulsioni di autodistruzione. Un'ambivalenza pulsionale può pure essere affermata come esistente originariamente, ma l'opposizione tra amore e odio, quale si manifesta fin dall'inizio nell'incorporazione* orale, andrebbe intesa solo nella relazione con un oggetto esterno.

Per contro, una scuola come quella di Melanie Klein riafferma con tutta la sua forza il dualismo tra le pulsioni di morte e le pulsioni di vita, facendo svolgere persino un ruolo fondamentale alle pulsioni di morte già all'origine dell'esistenza umana, non solo in quanto orientate verso l'oggetto esterno, ma anche in quanto operano nell'organismo e suscitano l'angoscia di essere disintegrati e annientati. Ma ci si può chiedere se il manicheismo kleiniano faccia propri tutti i significati che Freud aveva dato al suo dualismo. Infatti, i due tipi di pulsione invocati da Melanie Klein sono in antagonismo per il loro scopo, ma non vi è una differenza fondamentale nel loro principio di funzionamento.

***

Le difficoltà che hanno incontrato i seguaci di Freud a recepire il concetto di pulsione di morte invitano a interrogarsi su ciò che Freud intende col termine di Trieb nella sua ultima teoria. Si prova infatti un certo imbarazzo a denominare con lo stesso termine di pulsione ciò che Freud ha descritto e mostrato in azione nei dettagli del funzionamento della sessualità umana (Tre saggi sulla teoria della sessualità [Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, 1905]) e questi «esseri mitici» che egli vede affrontarsi non tanto al livello del conflitto clinicamente osservabile, quanto in una lotta che supera l'individuo umano poiché si ritroverebbe in modo velato in tutti gli esseri viventi, anche nei più primitivi: «...le forze pulsionali che tendono a condurre la vita alla morte potrebbero anche operare in essi fin dall'inizio; ma sarebbe molto difficile provare direttamente la loro presenza, dato che i loro effetti sono mascherati dalle forze che conservano la vita».

L'opposizione tra le due pulsioni fondamentali dovrebbe essere accostata ai grandi processi vitali dell'assimilazione e della dissimilazione; al limite, essa si ridurrebbe perfino «...alla coppia di opposti che regna nel mondo inorganico: attrazione e repulsione». Questo aspetto fondamentale, anzi universale, della pulsione di morte è sottolineato da Freud in vari modi. In particolare esso si manifesta nel riferimento a concezioni filosofiche come quelle di Empedocle e di Schopenhauer.

In realtà ciò che Freud cerca di esplicitare con il termine di pulsione di morte è ciò che vi è di più fondamentale nella nozione di pulsione, il ritorno a uno stato precedente e, in ultima analisi, il ritorno alla quiete assoluta dell'inorganico. Al di là di un tipo particolare di pulsione, è il carattere intrinseco del principio di ogni pulsione che egli cerca di individuare con questo termine.

A questo proposito, è istruttivo notare le difficoltà che prova Freud a collocare la pulsione di morte rispetto ai «principi del funzionamento psichico» che egli ha formulato da tempo, e soprattutto rispetto al principio di piacere. In Al di là del principio di piacere, come mostra già il titolo stesso dell'opera, la pulsione di morte è postulata in base a fatti considerati in contrasto con tale principio, ma allo stesso tempo Freud può concludere affermando che «il principio di piacere sembra essere in realtà al servizio delle pulsioni di morte».

Egli ha avvertito per altro tale contraddizione, e ciò lo ha indotto in seguito a distinguere dal principio di piacere* il principio del Nirvana*, il quale, come principio economico della riduzione delle tensioni a zero, «...sarebbe interamente al servizio delle pulsioni di morte. Quanto al principio di piacere, la cui definizione diventa allora più qualitativa che economica, esso «rappresenta l'esigenza della libido».

Ci si può chiedere se l'introduzione del principio del Nirvana «esprimente la tendenza della pulsione di morte» costituisca una innovazione radicale. Sarebbe facile mostrare come le formulazioni del principio di piacere che Freud ha dato lungo tutta la sua opera confondessero due tendenze: una tendenza alla scarica completa dell'eccitazione e una tendenza al mantenimento di un livello costante (omeostasi). Va notato d'altronde che all'inizio della sua prima costruzione metapsicologica (Progetto di psicologia scientifica [Entwurf einer Psychologie, 1895]) Freud aveva distinto queste due tendenze parlando di un principio d'inerzia e mostrando come esso si modifichi in una tendenza «a conservar costante il livello di tensione».

Queste due tendenze d'altronde sono rimaste distinte in quanto corrispondono a due tipi di energia, libera e legata, e a due modi di funzionamento psichico (processo primario e processo secondario). In questa prospettiva, si può vedere nella tesi della pulsione di morte una riaffermazione di ciò che Freud ha sempre considerato come l'essenza stessa dell'inconscio in ciò che esso offre di indistruttibile e di dereale. Questa riaffermazione di ciò che vi è di più radicale nel desiderio inconscio corrisponde a un mutamento nella funzione ultima assegnata da Freud alla sessualità. Questa infatti è definita, col nome di Eros, non più come forza disgregatrice, eminentemente perturbante, ma come principio di coesione: «La meta [dell'Eros] è •instaurare unità sempre più grandi e così conservarle: essa consiste nel legame; la meta [della pulsione di distruzione] è invece dissolvere le connessioni e distruggere così le cose».

***

Tuttavia, anche se si può vedere nella nozione di pulsione di morte una nuova manifestazione di un'esigenza fondamentale e costante del pensiero freudiano, non si può non sottolineare che essa apporta una concezione nuova: essa fa della tendenza alla distruzione, quale si rivela per esempio nel sadomasochismo, un dato irriducibile; essa è l'espressione privilegiata del principio più radicale del funzionamento psichico; infine, essendo «ciò che vi è di più pulsionale», essa lega indissolubilmente ogni desiderio, aggressivo o sessuale, al desiderio di morte.

PRINCIPIO DI PIACERE.

• Uno dei due principi che regolano, secondo Freud, il funzionamento mentale: l'insieme dell'attività psichica ha per scopo di evitare il dispiacere e di procurare il piacere. In quanto il dispiacere è legato all'aumento delle quantità di eccitazione e il piacere alla loro riduzione, il principio di piacere è un principio economico.

■ L'idea di fondare sul piacere un principio regolatore del funzionamento mentale è lungi dall'essere caratteristica di Freud. Fechner, la cui grande influenza sulle idee di Freud è ben nota, aveva anch'egli enunciato un «principio di piacere dell'azione». Con tale principio egli intendeva, a differenza delle dottrine edonistiche tradizionali, non già che la finalità perseguita dall'azione umana sia il piacere, bensì che i nostri atti sono determinati dal piacere o dal dispiacere procurati al momento attuale dalla rappresentazione dell'azione da compiere o delle sue conseguenze. Egli nota inoltre che queste motivazioni possono non essere percepite coscientemente: «...è del tutto naturale che, quando i motivi si perdono nell'inconscio, ciò avvenga anche per il piacere e il dispiacere».

Questo carattere di motivazione attuale è anche al centro della concezione freudiana: l'apparato psichico è regolato dall'evitamento o dall'evacuazione della tensione spiacevole. Va notato che il principio è denominato dapprima come «principio di dispiacere»: la motivazione è il dispiacere attuale e non la prospettiva del piacere da ottenere. Si tratta di un meccanismo di regolazione «automatica».

***

La nozione di principio di piacere rimane senza grandi cambiamenti lungo tutta l'opera freudiana. Per contro, ciò che è problematico in Freud e riceve risposte diverse è la posizione del principio rispetto ad altri riferimenti teorici.

Una prima difficoltà, già sensibile nell'enunciato stesso del principio, riguarda la definizione di piacere e dispiacere. Una delle ipotesi costanti di Freud, nell'ambito del suo modello dell'apparato psichico, assume che il sistema percezione-coscienza sia sensibile a tutta una varietà di qualità provenienti dal mondo esterno, mentre dall'interno egli percepisce soltanto gli aumenti e le diminuzioni di tensione che si traducono in una sola gamma qualitativa: la scala piacere-dispiacere. Ci si può allora attenere a una definizione puramente economica secondo cui piacere e dispiacere non sarebbero altro che la traduzione qualitativa di modificazioni quantitative? Inoltre, qual è l'esatta correlazione tra questi due aspetti: qualitativo e quantitativo? Freud ha sottolineato progressivamente quanto sia difficile dare a questo problema una risposta semplice. Se, in un primo tempo, si contenta di enunciare un'equivalenza tra il piacere e la riduzione di tensione, tra il dispiacere e l'aumento di essa, egli cessa presto di considerare questa relazione come evidente e semplice: «...non trascuriamo il carattere altamente indeterminato di questa ipotesi finché non saremo riusciti a scoprire la natura della relazione tra piacere-dispiacere e le oscillazioni delle quantità di eccitazione che agiscono sulla vita psichica. Certamente è possibile che tali relazioni siano molto varie, e tutt'altro che semplici».

In Freud si trovano ben poche indicazioni sulla natura di tali relazioni. In Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920), egli nota che occorre distinguere tra dispiacere e senso di tensione: esistono tensioni piacevoli. «La sensazione di tensione andrebbe messa in rapporto con la grandezza assoluta dell'investimento, eventualmente col suo livello, mentre la gradazione piacere- dispiacere indicherebbe la modificazione della quantità di investimento nell'unità di tempo ?». È ancora un fattore temporale, il ritmo, che è preso in considerazione in un testo successivo, mentre al tempo stesso viene rimesso in valore l'aspetto essenzialmente qualitativo del piacere.

Nonostante le difficoltà inerenti al problema di trovare degli esatti equivalenti quantitativi agli stati qualitativi del piacere e del dispiacere, è evidente l'interesse per la teoria psicanalitica di una interpretazione economica di questi stati; essa consente di enunciare un principio valido sia per le istanze inconsce della personalità che per i suoi aspetti coscienti. Parlare per esempio di un piacere inconscio inerente a un sintomo manifestamente penoso può sollevare obiezioni al livello della descrizione psicologica. Ponendosi dal punto di vista di un apparato psichico e delle modificazioni energetiche che in esso si effettuano, Freud dispone di un modello che gli consente di considerare ogni sottostruttura come regolata dallo stesso principio che regge l'insieme dell'apparato psichico, lasciando in sospeso il difficile problema di determinare, per ciascuna di queste sottostrutture, la modalità e il momento in cui un aumento di tensione diventa effettivamente motivante come dispiacere avvertito. Questo problema tuttavia non è trascurato nell'opera di Freud. Esso è esaminato esplicitamente a proposito dell'Io, in Inibizione, sintomo e angoscia (Hemmung, Symptom und Angst, 1926) (concezione del segnale di angoscia come motivo di difesa).

***

Un altro problema, che per altro non è privo di rapporti col precedente, riguarda la relazione tra piacere e costanza. Infatti, anche una volta ammessa l'esistenza di un significato economico, quantitativo, del piacere, rimane il problema di sapere se ciò che Freud chiama principio di piacere corrisponde a un mantenimento della costanza del livello energetico o a una riduzione radicale delle tensioni al livello più basso. Numerose formulazioni di Freud, che assimilano principio di piacere e principio di costanza, sono orientate nel senso della prima soluzione. Ma, se si fa intervenire l'insieme dei riferimenti teorici fondamentali di Freud (quali emergono in particolare da testi come il Progetto per una psicologia scientifica [Entwurf einer Psychologie, 1895] e Al di là del principio di piacere), ci si accorge al contrario che il principio di piacere è piuttosto in opposizione al mantenimento della costanza, sia che corrisponda al libero deflusso dell'energia mentre la costanza corrisponde a un legame di essa, sia che al limite Freud possa chiedersi se il principio di piacere non sia «al servizio della pulsione di morte». Questo problema è trattato più diffusamente nella voce «Principio di costanza».

La questione, spesso dibattuta nella psicanalisi, dell'esistenza di un «al di là del principio di piacere» può essere posta validamente solo una volta esplicitata la problematica che fa intervenire i concetti di piacere, costanza, legame, riduzione delle tensioni a zero. Infatti, l'esistenza di principi o di forze pulsionali trascendenti il principio di piacere è sostenuta da Freud solo quando opta per un'interpretazione di tale principio che tende a confonderlo col principio di costanza. Quando invece il principio di piacere tende a essere assimilato a un principio di riduzione a zero (Principio del Nirvana) non è più contestato il suo carattere fondamentale e ultimo

***

Il principio di piacere interviene nella teoria psicanalitica soprattutto in opposizione al principio di realtà. Infatti, quando Freud enuncia in modo esplicito i due principi del funzionamento psichico, egli li pone come i due poli di un asse di riferimento fondamentale. Le pulsioni cercherebbero dapprima soltanto di scaricarsi, di soddisfarsi per le vie più brevi; poi gradualmente sperimenterebbero la realtà, imparando cosi a conseguire il soddisfacimento cercato mediante vie indirette e rinvii nel tempo. In questa tesi semplificata, si vede come il rapporto piacere-realtà pone un problema che dipende anch'esso dal significato che si dà nella psicanalisi al termine di piacere. Se con piacere si intende essenzialmente l'appagamento di un bisogno, di cui il soddisfacimento delle pulsioni di autoconservazione fornirebbe il modello, l'opposizione principio di piacere- principio di realtà non offre nulla di radicale, tanto più che si può facilmente ammettere nell'organismo vivente l'esistenza di una dotazione naturale, di predisposizioni, che fanno del piacere una guida di vita, subordinandolo a comportamenti e a funzioni adattative. Ma la psicanalisi ha messo in primo piano la nozione di piacere in tutt'altro contesto, in cui risulta invece come legato a processi (esperienze di soddisfacimento), a fenomeni (sogni), di cui è evidente il carattere dereale. In questa prospettiva, i due principi appaiono come fondamentalmente antagonistici: l'appagamento di un desiderio inconscio (Wunscherfüllung) risponde a esigenze e funziona secondo leggi del tutto diverse da quelle del soddisfacimento (Befriedigung) dei bisogni vitali.

PRINCIPIO DI REALTÀ.

• Uno dei due principi che regolano, secondo Freud, il funzionamento mentale. Esso forma una coppia col principio di piacere e modifica quest'ultimo: nella misura in cui esso riesce a imporsi come principio regolatore, la ricerca del soddisfacimento non si effettua più per le vie più brevi, ma passa per vie indirette e rinvia il suo risultato in funzione delle condizioni imposte dal mondo esterno.

Considerato dal punto di vista economico, il principio di realtà corrisponde a una trasformazione dell'energia libera in energia legata* ; dal punto di vista topico, esso caratterizza essenzialmente il sistema preconscio-cosciente ; dal punto di vista dinamico, la psicanalisi cerca di fondare l'intervento del principio di realtà su un certo tipo di energia pulsionale che sarebbe più particolarmente al servizio dell'Io.

■ Prefigurato già nelle prime elaborazioni metapsicologiche di Freud, il principio di realtà è enunciato come tale nel 1911 in Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico (Formulierungen über die zwei Prinzipien des psychischen Geschehens), in cui è posto in relazione, in una prospettiva genetica, col principio di piacere al quale succede. Il lattante tenterebbe dapprima di trovare, in modo allucinatorio, una possibilità di scaricare immediatamente la tensione pulsionale: «Solo la mancanza dell'atteso soddisfacimento, la disillusione, ha provocato l'abbandono di questo tentativo di soddisfacimento per via allucinatoria. Al suo posto, l'apparato psichico ha dovuto risolversi a rappresentarsi lo stato reale del mondo esterno e a cercare di effettuare una modificazione reale. Si è introdotto così un nuovo principio dell'attività psichica: ciò che viene rappresentato, non è più ciò che è gradevole, ma ciò che è reale, anche se dovesse essere sgradevole». Il principio di realtà, principio regolatore del funzionamento psichico, compare secondariamente come modificazione del principio di piacere, che prima era l'unico sovrano; la sua instaurazione corrisponde a tutta una serie di adattamenti che l'apparato psichico deve subire: sviluppo delle funzioni coscienti, attenzione, giudizio, memoria; sostituzione alla scarica motrice di un'azione mirante a una trasformazione appropriata della realtà; nascita del pensiero, che è definito come un'«attività di esame» in cui sono spostate piccole quantità di investimento, il che suppone una trasformazione dell'energia libera*, tendente a circolare senza ostacoli da una rappresentazione a un'altra, in energia legata. Il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà non sopprime per questo il primo. Da un lato, il principio di realtà assicura l'ottenimento dei soddisfacimenti nella realtà, dall'altro, il principio di piacere continua a regnare in tutto un campo di attività psichiche, che costituisce una specie di riservato dominio lasciato al fantasma e funzionante secondo le leggi del processo primario: l'inconscio.

Questo è il modello più generale elaborato da Freud nel quadro di ciò che egli stesso ha denominato come «psicologia genetica». Egli rileva che questo schema si applica differentemente a seconda che sia considerata l'evoluzione delle pulsioni sessuali o quella delle pulsioni di autoconservazione. Queste ultime sono indotte gradualmente, nel loro sviluppo, a riconoscere pienamente il dominio del principio di realtà, mentre le pulsioni sessuali verrebbero «educate» solo con ritardo e sempre imperfettamente. Ne risulterebbe, secondariamente, che le pulsioni sessuali rimarrebbero il campo privilegiato del principio di piacere, mentre le pulsioni di autoconservazione rappresenterebbero presto, in seno all'apparato psichico, le esigenze della realtà. In definitiva, il conflitto psichico tra l'Io e il rimosso sarebbe radicato nel dualismo pulsionale, corrispondente a sua volta al dualismo dei principi.

Nonostante la sua apparente semplicità, questa concezione solleva difficoltà che molte indicazioni nell'opera di Freud spesso lasciano già intravedere.

1) Per quanto riguarda le pulsioni, l'idea che le pulsioni sessuali e le pulsioni di autoconservazione evolvano secondo uno stesso schema non sembra molto soddisfacente. Non si vede bene ciò che sarebbe per le pulsioni di autoconservazione questa prima fase regolata dal solo principio di piacere: non sono subito orientate sull'oggetto reale soddisfacente, come Freud stesso ha sottolineato per differenziarle dalle pulsioni sessuali?. Inversamente, il legame tra la sessualità e il fantasma è così essenziale che l'idea di un graduale apprendimento della realtà diventa qui molto contestabile, come è mostrato d'altronde dall'esperienza analitica.

Ci si è spesso chiesti come il bambino, potendo soddisfarsi a volontà nel modo allucinatorio, avrebbe mai motivo di cercare un oggetto reale. La concezione che fa sorgere la pulsione sessuale dalla pulsione di autoconservazione in una doppia relazione di appoggio e di separazione, consente di chiarire questo difficile problema. Schematicamente, le funzioni di autoconservazione mettono in gioco dei montaggi di comportamento e degli schemi percettivi che mirano immediatamente, anche se in modo maldestro, a un oggetto reale adeguato (il seno, il cibo). La pulsione sessuale sorge marginalmente nel corso del compimento di questa funzione naturale; essa diventa effettivamente autonoma solo separandosi dalla funzione e dall'oggetto, ripetendo il piacere nel modo dell'autoerotismo e mirando ormai alle rappresentazioni elettive che si organizzano in fantasma. Come si vede, in questa prospettiva il legame tra i due tipi di pulsioni esaminati e i due principi non appare affatto come una acquisizione secondaria: il legame è subito stretto tra autoconservazione e realtà; inversamente, il momento di emergenza della sessualità coincide con quello del fantasma e dell'appagamento allucinatorio del desiderio.

2) Si è spesso attribuita a Freud, per criticarla, l'idea che l'essere umano dovrebbe uscire da uno stato ipotetico in cui realizzerebbe una specie di sistema chiuso dedito al solo piacere «narcisistico» per accedere, non si sa bene per quale via, alla realtà. Tale rappresentazione è smentita da più di una formula freudiana: esiste già in origine, almeno in certi settori, specie in quello della percezione, un accesso al reale. La contraddizione proviene forse dal fatto che, nel campo d'investigazione propriamente psicanalitico, la problematica del reale si pone in termini del tutto diversi da quelli di una psicologia che assume come oggetto l'analisi del comportamento del bambino. Ciò che Freud porrebbe indebitamente come una generalità valida per l'insieme della genesi del soggetto umano, ritroverebbe il suo valore al livello, subito dereale, del desiderio inconscio. Nell'evoluzione della sessualità umana, nella sua strutturazione da parte del complesso di Edipo, Freud cerca le condizioni dell'accesso a ciò che egli chiama «pieno amore d'oggetto». Il significato di un principio di realtà capace di modificare il corso del desiderio sessuale può difficilmente essere colto senza questo riferimento alla dialettica dell'Edipo e alle identificazioni correlative a quest'ultimo.

3) Freud attribuisce una funzione importante alla nozione di esame di realtà, ma senza mai averne elaborato una teoria coerente e senza aver mostrato bene la sua relazione con il principio di realtà. Nell'uso di questa nozione, si vede ancora più chiaramente come essa possa ricoprire due direzioni di pensiero molto diverse: una teoria genetica dell'apprendimento della realtà, di un esame della pulsione in riferimento alla realtà (come se procedesse per «tentativi ed errori») e una teoria quasi trascendentale che tratti della costituzione dell'oggetto attraverso tutta una serie di opposizioni: interno- esterno, piacevole-spiacevole, introiezione-proiezione).

4) Quando Freud nella sua ultima topica definisce l'Io come una differenziazione dell'Es risultante dal contatto diretto con la realtà esterna, egli ne fa l'istanza a cui è conferito il compito di garantire il dominio del principio di realtà. L'Io «...inserisce, tra la rivendicazione pulsionale e l'azione di soddisfacimento, l'attività del pensiero, la quale, secondo l'orientamento nel presente e la valorizzazione delle esperienze passate, tenta di indovinare mediante azioni di saggio l'esito delle imprese prospettate. In tal modo l'Io prende la decisione se il tentativo di soddisfacimento debba essere effettuato o differito, oppure se la rivendicazione della pulsione non debba essere semplicemente repressa in quanto pericolosa (principio di realtà)». Tale formulazione rappresenta l'espressione più netta del tentativo di Freud di far dipendere dall'Io le funzioni adattative dell'individuo. Questa concezione solleva due tipi di riserve: da un lato, non è certo che l'apprendimento delle esigenze della realtà debba essere interamente attribuito a un'istanza della personalità psichica la cui genesi e la cui funzione sono talmente contrassegnate dalle identificazioni e dai conflitti; dall'altro, nel campo proprio della psicanalisi, la nozione di realtà è stata profondamente rinnovata da scoperte fondamentali come quella del complesso di Edipo e dalla graduale costituzione dell'oggetto libidico. Ciò che si intende nella psicanalisi per «accesso alla realtà» non può essere ridotto all'idea di un potere di discriminazione tra irreale e reale né a quella di una messa alla prova dei fantasmi e dei desideri inconsci al contatto di un mondo esterno che in definitiva sarebbe il solo a dettar legge.

>